Laici, cattolici ed ebrei

Scritto da Vito Mancinelli.

 

Secondo il laico Emilio Carnevali, redattore e collaboratore della nota rivista “Micromega”, la recente visita di Ratzinger alla Sinagoga Maggiore di Roma non ha prodotto, nonostante tanta consueta retorica celebrativa apparsa sui giornali italiani, alcun progresso nei rapporti tra cattolici ed ebrei. Anzi, egli ha osservato, il principale quotidiano israeliano Haaretz ha fotografato l’evento con un titolo molto severo: “Il Papa difende il Vaticano dell’era nazista”. E si comprende immediatamente che papa Benedetto non suscita affatto le simpatie di questo intellettuale, il quale tende ad ironizzare sul fatto che per l’attuale pontefice il cristianesimo e in particolare il cristianesimo nella sua forma cattolica non sia affatto una religione tra le altre, un particolare modo di percepire e rappresentare la divinità e il suo rapporto con gli uomini, ma l’unica vera e valida religione e il modo più universale di concepire Dio e il suo messaggio salvifico. Infatti, si legge, questa «impostazione teologica – un “esclusivismo veritativo” che si contrappone al sincretismo della sensibilità contemporanea (l’aborrito relativismo applicato alla spiritualità», che si ritrova praticamente in tutti i maggiori testi di Ratzinger, ivi compresi quelli più recenti del suo pontificato, tende a fissare un concetto-chiave: quello per cui «le comunità cristiane nate dalla riforma del XVI secolo non possono “essere chiamate ‘Chiese’ in senso proprio”» (Il Papa in Sinagoga e i silenzi di Pio XII, in “Micromega” del 20 gennaio 2010).

Che, secondo Carnevali, è «una prospettiva molto distante da quella del Concilio, benché la continuità con esso sia costantemente ribadita a parole. Ma solo tenendo conto di questa prospettiva è possibile comprendere quale sia il grande (e insormontabile) ostacolo che si contrappone ad un autentico dialogo interreligioso ed ecumenico fra la Chiesa di Ratzinger e le altre confessioni religiose (comprese le altre confessioni e denominazioni cristiane)» (Ivi). In altri termini, e a prescindere dal Concilio Vaticano II che il nostro interlocutore mostra di conoscere solo per sentito dire, perché il dialogo interreligioso ed ecumenico possa essere davvero “autentico”, papa Ratzinger dovrebbe smettere di essere cattolico! E invece è auspicabile che, quali che siano i suoi limiti, papa Ratzinger continui a sostenere e a difendere energicamente le principali e più elementari verità della fede e della Chiesa, ben sapendo peraltro che la Chiesa non è la sua Chiesa (“la Chiesa di Ratzinger”) ma la Chiesa di Cristo, l’unica Chiesa di Cristo che pure è tenuta ad accogliere tutte quelle realtà umane e storiche che, sinceramente protese a superare ogni motivo di divisione e di discordia, mostrino concretamente e saggiamente di voler tornare a farne parte. 

E’ evidente, sostiene il laico citato, che anche il dialogo con il mondo ebraico non possa non risentire negativamente di questa visione religiosa unilaterale e assolutizzante, giacché se si muove dal presupposto che l’unico Dio è quello di Gesù Cristo, anzi è Cristo medesimo, che senso mai può avere il dialogo? Che senso ha che i cattolici intendano dialogare con gli ebrei proprio nel momento in cui i primi pregano per la conversione dei secondi? Certo, che senso ha dialogare con gli ebrei se questi sotto sotto pretendono di inibire nei cattolici persino la libertà di dichiarare apertamente i loro più profondi e vitali convincimenti religiosi? E’ la domanda che anche i cattolici, ovviamente, potrebbero farsi. Ma, in realtà, quelle domande sono piuttosto sciocche, e tuttavia vengono formulate tranquillamente, come se fossero invece domande intelligenti, nel nome di una razionalità laica la quale però fortunatamente non si lascia ridurre a forme cosí sciatte e improvvide di razionalità.

Forse a molti non è ancora chiaro che i cattolici in quanto tali non possono credere che al Cristo-Dio e che ogni loro dialogo come ogni loro apertura e disponibilità può darsi solo all’interno di questo presupposto centrale di fede. I cattolici vogliono il dialogo in spirito di verità e di carità, il che significa che essi anche tra i fratelli ebrei si fanno o cercano di farsi il più amorevolmente possibile testimoni del Verbo incarnato e annunciatori del suo messaggio di salvezza pregando incessantemente Dio di concedere a tutti la grazia e la gioia di potersi ricongiungere e di potersi ritrovare un giorno uniti nel nome del Signore Gesù Cristo.

Quello che si stenta a voler ammettere è che, mentre gli ebrei in genere sono interessati al dialogo con la Chiesa cattolica in un’ottica prevalentemente storico-politica e in termini di tornaconto nazionalistico, i cattolici possono volere il dialogo solo perché dalla parola di Dio spiritualmente motivati a perseguire la comunione in Cristo con tutti i figli di Dio stesso a cominciare dai figli di Israele che furono in origine il suo popolo prescelto. Quindi, è perfettamente inutile insistere, magari in forme subdole o sofisticate, su questo punto: gli ebrei, come chiunque altro, possono anche sapere cose bellissime che i cattolici ignorano o non hanno ben assimilato, e ciò potrà essere eventualmente per quest’ultimi motivo di confronto e di arricchimento teologico e spirituale, ma, per quel che concerne l’essenziale della fede, i cattolici sanno perfettamente che la salvezza, un tempo venuta dai giudei, ora ormai viene compiutamente da Cristo. Per cui non possono agire se non sperando che la loro condotta e le loro preghiere siano cosí efficaci da produrre nel tempo l’effetto di sollecitare nelle sorelle e nei fratelli ebrei una profonda e coraggiosa conversione a Cristo.

Nel frattempo, però, sarebbe opportuno che i cosiddetti laici fossero più capaci di rispettare e adottare quei criteri di obiettività e di sana criticità che sono patrimonio irrinunciabile di una cultura laica realmente libera e responsabile, la stessa che ha spesso permeato utilmente di sé, pur talvolta in disaccordo con l’autorità ecclesiastica, capitoli importantissimi del sapere contemporaneo. E, tanto per esemplificare, sarebbe stato opportuno che il laico Carnevali non si limitasse a citare un organo israeliano di stampa solo per polemizzare con la Chiesa ma anche per elogiarla, giacché il giornale Haaretz non ha pubblicato soltanto l’articolo polemico da lui citato ma anche altri articoli che polemici non sono e che anzi rispecchiano una certa pluralità di punti di vista presenti in Israele sul rapporto tra ebrei e cattolici. Ad esempio, si sarebbe potuto ricordare l’intervento del rabbino David Rosen, direttore internazionale per gli affari interreligiosi dell’American Jewish Committee, il quale, definendo “oltraggioso” l’atteggiamento israeliano verso la Chiesa e verso il papa di Roma, ha affermato, con riferimento al paziente e virtuoso comportamento della Chiesa cattolica e di papa Benedetto XVI verso Israele, che «ogni [altra] nazione avrebbe minacciato il ritiro del suo ambasciatore molto tempo prima, per il modo in cui Israele non onora gli accordi» (Cfr.: Rabbi calls Israel's treatment of Vatican 'outrageous' - Haaretz - Israel News del 17 gennaio 2010).

Quindici anni dopo, rileva Rosen, la stipulazione dei rapporti diplomatici (1994) tra Vaticano e Stato di Israele e dei relativi accordi tra cui quello per cui il secondo si impegnava a «riconoscere lo status delle istituzioni cattoliche in Israele e l’esenzione fiscale delle proprietà vaticane in Israele», lo Stato israeliano «non ha ratificato alcun accordo che riconosca lo status legale della Chiesa» (Ivi). Ecco: se già gli ebrei non si preoccupano di onorare i patti che furono liberamente stipulati tra le due parti, potranno essi apparire credibili agli occhi dei cattolici e del mondo intero? D’altra parte, un altro autorevole ebreo quale Daniel Rossing, direttore del Jerusalem Center for Jewish-Christian Relations (Jcjcr), già capo del Dipartimento per le comunità cristiane del ministero israeliano per gli Affari religiosi, ha affermato che «uno dei problemi principali in Israele è il fatto che, purtroppo, la maggior parte dell'opinione pubblica ebraica non è consapevole del processo storico, dei cambiamenti rivoluzionari che hanno avuto luogo nell'atteggiamento della Chiesa cattolica verso gli ebrei e il giudaismo. Ciò è avvenuto non solo nei documenti ufficiali ma anche attraverso sforzi concertati e costanti. Purtroppo, l'unica cosa che la stampa israeliana riporta è che esistono dei problemi, fornendo un quadro distorto delle cose. Ma problemi ci sono in ogni relazione umana. Se però guardiamo come stanno veramente le cose, la realtà è che nei rapporti ebraico-cristiani stiamo assistendo a un continuo e grande progresso. Abbiamo quindi il compito - in modo particolare noi del Centro per i rapporti ebraico-cristiani di Gerusalemme - di rendere il popolo israeliano più consapevole dei grandi passi di avvicinamento compiuti dalla Chiesa cattolica anche attraverso il riesame degli insegnamenti tradizionali riguardanti gli ebrei. In questo Paese, abbiamo il grande compito educativo di informare meglio gli israeliani sulla Chiesa cattolica di oggi, distogliendo l'attenzione di qualcuno dal focalizzarsi sempre sul passato» (Se ebrei e cristiani si conoscessero meglio, Intervista di Sara Fornari, in “L’Osservatore Romano” del 23 gennaio 2010).

E Rossing, da annoverare senz’altro tra gli ebrei più colti e sensibili, ha proseguito osservando che in Israele occorre richiamare più spesso «gli ebrei a riconsiderare il loro tradizionale atteggiamento sospettoso, e spesso negativo, nei confronti del cristianesimo, a cercare vie per lavorare insieme in un mondo che ha un bisogno disperato di valori umani, ispirati da fonti divine. Occorre maggiore sensibilità» (Ivi), e concludendo significativamente che «l'ignoranza è certo uno dei nostri peggiori nemici. Spesso insieme all'ignoranza e alla non-conoscenza dell'altro sorgono il sospetto e, peggio, pensieri negativi. Se non conosci gli altri, cominci a sospettare, poi li incontri e tutto cambia. Un esempio è quello che avviene negli incontri che organizziamo per i giovani. La prima volta che i bambini ebrei incontrano gli arabi cristiani capita di sentir dire ai genitori:  "Ma guarda, sono come noi!". Pensavano forse di incontrare dei terroristi, degli antisemiti. L'ignoranza che nasce dalla mancanza di contatto è molto pericolosa. Noi lavoriamo costantemente per facilitare l'incontro, affinché le persone abbiano l'opportunità di trovarsi l'uno davanti all'altro. Come nell'incontro tra Giacobbe ed Esaù nella Bibbia. È solo quando possiamo veramente vedere il volto dell'altro, senza intermediari, che scopriamo anche il volto di Dio» (Ivi).

Che certi laici si sforzino dunque di rispettare la verità e di incoraggiare piuttosto che di intralciare il rapporto tra ebrei e cattolici. Che essi si astengano almeno dallo strumentalizzare in funzione anticattolica le difficoltà ancora oggettivamente presenti in questo rapporto, al fine di poter essere quanto meno stimati per la loro onestà intellettuale.