Violenza sessuale senza retorica

Scritto da Silvano Servidio.

 

Come riportano le cronache di questi giorni, un teologo turco di nome Orhan Ceker ha sollevato nel suo Paese molte polemiche, sia negli ambienti colti e giornalistici che nella pubblica opinione, per aver dichiarato che la responsabilità di molti stupri sulle donne non sempre ricade esclusivamente sugli uomini che li compiono ma anche talvolta sulle donne che li subiscono. Ora, se è vero che egli si sia espresso proprio in questi termini, non vedo dove stia lo scandalo, anche se so bene come oggi su certe questioni particolarmente delicate, che hanno a che fare con gli aspetti più intimi della vita personale e con l’amor proprio delle persone e in questo caso con quello solitamente ancor più complicato delle donne, basti un nonnulla per scatenare infuocate polemiche. La libertà di opinione dovrebbe valere anche per chi esprima giudizi impopolari e difformi da certa mentalità conformistica e standardizzata e non solo per chi è abituato a ripetere idee non “rischiose” e sin troppo facilmente condivisibili perché “politicamente corrette” o più corrette di altre.

Certo, quando si parla di violenza sessuale, di stupro o di molestie sessuali, bisogna fare molta attenzione perché non c’è dubbio che oggi le donne in genere siano spesso oggetto di discriminazione e di valutazione preconcetta. Ma la cautela pur necessaria che bisogna usare nel trattare di siffatte problematiche non può inibire sino al punto di non vedere e non considerare la loro complessità e la loro irriducibilità a tesi precostituite e chiuse all’osservazione empirica, unilaterali o puramente strumentali. Più in generale, si deve rilevare l’esistenza di un alto grado di intolleranza sui temi dell’omosessualità, del divorzio, dell’aborto, sullo stesso concetto di famiglia e via dicendo, in rapporto ai quali, nel nome dei diritti civili, si vorrebbero far passare come posizioni universalmente valide quelli che altro non sono se non semplici ed opinabili punti di vista. Non si capisce per quale motivo un tizio, non necessariamente di fede cattolica, che consideri malattia l’omosessualità debba incorrere in un reato. Si dice: è una cosa che non si può dire perché costituisce offesa a chi è omosessuale e perché la comunità scientifica non la ritiene più una malattia.

A parte il fatto che non si capisce perché dovrebbe risultare offensivo che l’omosessualità sia una malattia, allo stesso modo di come non è offensivo dire che la poliomelite o la tubercolosi o la psicosi cronica o una semplice miopia sono delle malattie, è ingiustificabile la presa di posizione di quanti vorrebbero persino perseguire penalmente coloro che non siano disposti ad uniformare il loro pensiero a certa ideologia corrente o dominante in materie come questa. Se uno pensa e dice che non il sole ma la terra è il centro del nostro universo passerà per sciocco ma non per questo potrà essere perseguito penalmente. Ecco: al più i sostenitori dell’omosessualità come malattia potranno passare per sciocchi ma come e perché pretendere di incriminarli penalmente? E anche se si sostiene che, come qualsiasi altra malattia, anche l’omosessualità può essere curata, francamente è incomprensibile che possa gridarsi allo scandalo ed invocare, com’è di moda fare, severi provvedimenti giudiziari. Specialmente se la mia fede mi indurrà a parlare dell’omosessualità in termini di malattia e della pratica omosessuale in termini di perversione, non ci sarà provvedimento penale che potrà indurmi ad avallare giudizi errati e superficiali.

Ma, tornando al giudizio espresso dal teologo turco Orhan Ceker, è veramente singolare che esso sollevi reazioni cosí veementi in una società in cui il nudo femminile ben più di quello maschile è obiettivamente omnipervasivo, ancorché generalmente accettato da un punto di vista sociale, e in cui il comportamento femminile è in molti casi spregiudicato, audace o manifestamente trasgressivo. Non è affatto detto che il riprodurre onestamente la realtà debba necessariamente far pensare all’esistenza di meccanismi repressivi di genere ovviamente maschile che tendono a colpevolizzare le donne e la natura femminile a causa di proprie inconfessabili pulsioni sessuali magari anche di natura misogina. Può darsi che questo sia effettivamente il motivo di tante accuse antifemminili formulate dagli uomini, cosí come è possibile che i motivi di giudizi più articolati e meno univocamente assolutori nei riguardi di un certo mondo femminile siano ben altri, ben ponderati e rispondenti a ben precise esperienze dirette o indirette di vita.

Che la donna debba avere la sua visibilità umana e sociale, la sua personalità, la sua disinvoltura e spigliatezza nelle relazioni sociali o interpersonali, una qualche esuberanza psicologica, e una certa cura nel modo di vestire e di presentarsi in pubblico, è comprensibile, ammissibile e giusto; che invece la donna, nel segno di un suo malinteso diritto alla autonomia e alla libertà, possa o debba vestire in modo manifestamente disinvolto o sconveniente o trasgressivo e sottoporre i soggetti di sesso maschile, anche con discorsi di tipo vagamente ambiguo e allusivo o con ammiccamenti più che equivoci quando non con offerte e atteggiamenti di natura sessuale assolutamente espliciti, a vere e proprie provocazioni, potrà anche passare giuridicamente e socialmente come qualcosa di totalmente normale e lecito, ma è poi difficile capire perché, in presenza di certi fatti spiacevoli e dolorosi, il colpevole debba essere individuato sempre, comunque ed esclusivamente nell’uomo. Peraltro, in molti casi, la violenza subita dalle donne ad opera di propri partners o soggetti con cui esse abbiano intavolato un qualche rapporto di intimità anche occasionale, violenza che ovviamente non è mai comunque né ammissibile né giustificabile, è anche il prodotto di forme più sofisticate e solo apparentemente incruente di violenza che le vittime hanno a lungo e subdolamente esercitato o esercitano a danno dei carnefici.

Tutto questo, beninteso, non cancella la gravità del dato di fondo, che è quello per cui l’aggressione e la stessa aggressione sessuale nei confronti delle donne è in tutte le parti del mondo in crescente aumento, né attenua l’esistenza planetaria di una concezione maschile delle donne in genere ancora profondamente patriarcale, strumentale, sessista, e alla fine non solo offensiva e spregevole ma meschina e vile. E tuttavia sarebbe ormai necessario avere coscienza del reale significato e della vera portata di tale fenomeno, ove si voglia onestamente e non demagogicamente lavorare ad una liberazione e ad una emancipazione effettive e non retoriche della donna nel mondo e in ogni parte del mondo. Sarebbe necessario che la violenza sessuale, come ogni altro tipo e forse più di ogni altro tipo di violenza, fosse trattata senza retorica.    

Se è per compiacere una pubblica opinione per cosí dire bisognosa di risposte facili e rassicuranti e diciamo pure la mentalità ipocrita e sostanzialmente licenziosa di molti, si può anche evitare di esprimere pareri dissonanti, ma, se invece il problema è quello della verità e di testimoniare la verità in senso religioso e cristiano anche su questa questione, non si può fare a meno di dire che, cosí come ci sono uomini e uomini, allo stesso modo ci sono donne e donne in ogni ambito della vita civile, in ogni categoria sociale, in ogni fascia di età compresa tra i quindici e gli ottanta anni. Né può valere, a mio avviso, quell’altra obiezione secondo la quale alle donne dovrebbe riconoscersi il sacrosanto diritto di dire e fare qualunque cosa senza che ciò debba per forza autorizzare gli uomini ad aggredirle o ad approfittare sessualmente di loro, in quanto gli uomini che in determinate circostanze ne approfittino sarebbero sempre e comunque dei malati: perché, ammesso che questi individui siano dei semplici malati, bisognerebbe pur tener conto rispettosamente che in giro ci sono o possono esserci appunto dei malati che proprio per questo non è opportuno sottoporre a brusche e violente sollecitazioni psichiche e sessuali. Non si può pretendere, se non in modo molto astratto e irrealistico, che tutti gli uomini abbiano freni inibitori sufficientemente forti ed un adeguato controllo dei propri istinti persino in situazioni seduttive di altissimo tasso erotico.

Ma la verità è che, in realtà, tutti, maschi e femmine, devono assumersi le proprie responsabilità interiorizzando e praticando sentimenti di sobrietà, di opportunità morale, di equilibrio psicologico e spirituale, riservandosi di concedersi a giusti e naturali momenti di trasporto affettivo e/o sessuale quando si sia certi di essere in presenza di relazioni sufficientemente mature e consapevoli, sicure e stabili, fermo restando l’auspicio civile e religioso che maschi e femmine, pur se sottoposti a tentazioni carnali particolarmente pericolose o straripanti, sappiano sempre prudentemente resistervi con la forza della dignità e della preghiera canalizzando diversamente le proprie energie psichiche e spirituali.