Il canto di Maria è il canto dei suoi figli

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Sulle rive del Mar Rosso, la profetessa Maria, sorella di Mosé, aveva innalzato un canto di lode al Signore per la vittoria da egli conseguita sul malvagio faraone egiziano: «Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere (Es 15,21)». Maria di Nazaret, quando Dio scende dal cielo e viene ad abitare nel suo grembo verginale e quindi in mezzo agli uomini per salvarli da un dominio ben più grande e intollerabile di quello faraonico, ovvero dal dominio del peccato e della morte, le fa eco con le celebri parole del Magnificat che, al di là del loro pur chiarissimo significato letterale, si possono cosí intendere e interpretare: la mia anima riconosce ed esalta la grandezza del Signore ed io esulto di gioia in Dio che è venuto a salvarmi cosí tangibilmente in ragione del fatto che ha trovato in me un’umile donna realmente sottomessa a Lui e al suo volere; per questo, ho il presentimento che le generazioni che verranno e si succederanno sino alla fine dei tempi mi considereranno sommamente felice; l’Onnipotente, che esercita in modo santo il suo potere su tutto e su tutti, mi ha voluto elargire cose meravigliose e inattese, e la sua misericordia si riverserà sempre attraverso i secoli e in modi e forme sorprendenti su tutti coloro che ne temeranno la potenza e lo ameranno sinceramente facendo ogni sforzo per conformarsi alla sua volontà

E, a questo punto, la lode appassionata e riconoscente di Maria viene articolandosi nella descrizione dei modi in cui il Signore è entrato ed è intervenuto nella storia umana e nella storia della salvezza: ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi…, ha deposto i potenti, ha esaltato gli umili, ha colmato di beni i miseri, ha impoverito i ricchi, è venuto in soccorso della parte sana e fedele del popolo di Israele tenendo fede alle promesse che aveva fatto ai suoi antichi e degni progenitori. Qui Maria presenta un settenario di azioni salvifiche, dove è opportuno notare che il numero sette è simbolo di pienezza o di completezza.  

Come dire, tutto quello che serviva alla salvezza effettiva ed integrale dell’umanità, Dio l’ha fatto, ricordandoci esemplarmente che la sua potenza non ha limiti e che nessuno può opporsi in modo arrogante e impunemente ai suoi disegni; che, di conseguenza, i superbi, e quindi tutti coloro che si compiacciono delle proprie presunte o reali capacità, o che ostentano potere e ricchezza utilizzandolo anche per esercitare dominio sugli altri, non avranno scampo (come sta a dimostrare la fine del faraone che intendeva perseguitare e distruggere gli ebrei); che quindi anche potenti e ricchi prima o poi verranno deposti non in quanto potenti e in quanto ricchi ma in quanto manifestazioni o concretizzazioni storiche di superbia o dei superbi che non a caso nel canto mariano vengono menzionati al primo posto. Quando potenti e ricchi pretendono di governare il mondo secondo i propri giudizi e i propri interessi e non secondo le necessità oggettive dei miseri, dimostrando pertanto di non temere il Santo in alcun modo e ponendosi di fatto al posto di Dio pur quando strumentalmente lo invocano, essi peccano per l’appunto di superbia, essi sono i faraoni di turno che «pensano di potere tutto, anche di comprare il cielo con la ricchezza e la potenza. Ma non é così. Illudono se stessi e la loro sorte é già segnata, come quella del ricco egoista nella parabola raccontata da Gesù» (cit. da autore sconosciuto).   

Ma la potenza di Dio, che si ricorda sempre di proteggere e assistere tutti i suoi figli e figlie obbedienti (a cominciare dal “resto fedele” di Israele) contrasta violentemente il potere e le ambizioni degli uomini che trasgrediscono i suoi comandi e non si ricordano o si ricordano solo a parole e demagogicamente dei poveri della terra, dei quali si fa carico il Signore stesso facendoli uscire sia pure tra stenti e patimenti di ogni genere dalla schiavitù del bisogno e della miseria. Ed è per questo che tutti coloro che faranno proprio il punto di vista dei poveri e degli oppressi sforzandosi di condividere al meglio la propria vita e i propri beni materiali e/o immateriali con essi, saranno premiati da Dio con la felicità che spetta ai giusti e ai puri di cuore. Come si vede, «il cantico di Maria, come gli antichi inni biblici che esso evoca, è una potente esplosione di speranza messianica» (Ivi). 

Ma l’elemento che qui si vuol sottolineare è che questo canto mariano, che anticipa significativamente i grandi valori dell’insegnamento di Gesù (l’amore incondizionato verso il Padre e l’illimitato amore divino verso i bisognosi e gli ultimi della vita e della storia, l’umiltà e lo spirito di povertà del credente  e il suo spirito di comunione e condivisione nei riguardi di oppressi ed esclusi in genere, la preghiera e la fede incrollabile nella giustizia e nella misericordia di Dio), non può non essere il canto della Chiesa e il canto di tutti coloro che nella Chiesa si riconoscono figli suoi.

 Come Maria dobbiamo imparare a percepire la presenza di Dio nelle nostre esistenze, a lodarne la grandezza, ovvero la potenza creatrice e misericordiosa, la giustizia ineguagliabile e infallibile. Come Maria dobbiamo imparare a gioire anche soffrendo, a credere anche piangendo, ad amare Dio e il prossimo anche subendo incomprensioni ed iniquità. Come Maria e insieme a Maria la Chiesa, ben conscia di come il suo canto sia riflesso purissimo e fedele espressione della Parola di Dio, deve evangelizzare il mondo, che non significa semplicemente indottrinare ma magnificare, esaltare Dio per le opere grandi prima o poi compiute in ogni umile creatura dalla sua misericordia, condividendo ogni giorno nel fuoco sacrificale della carne l’esperienza divina della salvezza. E ognuno di noi, camminando con Maria in preghiera, pur privo della sua verginale innocenza, poco per volta e quasi inavvertitamente verrà acquistando una verginità spirituale capace di rendere possibile la generazione di Gesù nella propria vita personale e comunitaria, allo stesso modo di come la Chiesa, attraverso un continuo approfondimento ed affinamento del senso della Parola di Dio e attraverso un comportamento oblativo sempre più puro e perfetto, potrà tendere ogni giorno, per usare l’espressione di Beda («La Chiesa ogni giorno genera la Chiesa», PL 93, 166), a generare se stessa in Cristo.

Pregando ininterrottamente Maria, affidandosi incondizionatamente alla sua materna misericordia, la grande comunità ecclesiale di Dio, e in particolare i suoi figli più affezionati e fedeli (ivi compresi quelli provenienti da esperienze di peccato e di disperazione), potranno gradualmente morire alla loro natura peccaminosa e lentamente e gloriosamente rinascere alla natura verginale e luminosa di chi è destinato a percorrere la via del Cielo. Non è un caso che la Chiesa canti «il Magnificat nella liturgia vespertina, quando il giorno va incontro alla notte. Come a dire che affronta l’oscurità con il cantico di Maria che attesta la luce, poiché la misericordia del Signore è per sempre» (Ivi). Dunque: cantiamo il Magnificat!