Maria e il sacerdozio

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Maria è particolarmente vicina ai sacerdoti perché essi sono uomini che, almeno sul piano delle intenzioni, scelgono di consacrare interamente la loro vita a suo figlio, redentore dell’umanità, sia sotto il profilo esistenziale sia sotto il profilo sacramentale e ministeriale. A Maria stessa, nella tradizione della Chiesa, viene attribuito il titolo di sacerdote anche se con riferimento al sacerdozio di Cristo e non a quello ministeriale. Come scrive Epifanio alla fine del V secolo, Maria è «Vergine e allo stesso tempo sacerdote e altare che ci ha dato Cristo pane del cielo per la remissione dei peccati». Per questo Maria è vicina anche a tutti i figli di Dio che, pur non esercitando in senso ministeriale il sacerdozio, sono comunque sacerdoti del Regno di Dio in senso “regale” e “profetico”.    

Quindi si può ben dire che quanto più e meglio i sacerdoti di Dio, sia nel senso specificamente ministeriale in cui lo sono tutti quelli che vengono “ordinati” dall’autorità ecclesiastica sia nel senso spirituale in cui lo sono tutti i “battezzati” in Cristo, si sforzano di testimoniare il Signore nei propri ambiti di responsabilità, tanto maggiore è la vicinanza di Maria ad essi. Tuttavia, di recente padre Raniero Cantalamessa si è soffermato sul rapporto intercorrente in particolare su Maria e il sacerdote nella sua funzione ministeriale, osservando con le parole di Paolo VI che Maria come il sacerdozio «dà Cristo all’umanità» (Maria, madre e modello del sacerdote, in “Zenit” del 18 dicembre 2009), anche se in modo diverso: «Maria mediante l’Incarnazione e mediante l’effusione della grazia, di cui Dio l’ha riempita; il Sacerdozio mediante i poteri dell’ordine sacro» (Ivi).

Per cui anche la Chiesa e i suoi sacerdoti ministeriali, argomenta Cantalamessa, diventano madre sul piano sacramentale, diventano espressione sacramentale di quella maternità che Maria, per opera dello Spirito Santo, seppe realizzare sul piano fisico e storico e con cui ella avrebbe generato il Verbo di Dio Padre: anche la Chiesa, sempre in virtù dell’opera dello Spirito Santo, genera o è chiamata a generare Cristo nella vita e nella coscienza degli uomini attraverso l’annuncio della Parola e l’amministrazione dei sacramenti. Maria e la Chiesa, dunque, sarebbero entrambe madri ed entrambi vergini: senonché è difficile sfuggire all’obiezione per cui Maria è stata perfettamente madre e realmente vergine mentre la Chiesa è stata e continua ad essere madre e vergine su un piano prevalentemente simbolico e in modo palesemente discontinuo e imperfetto, giacché, pur costantemente sostenuta dallo Spirito Santo, non è stata preservata da Dio dal peccato originale ma liberata da esso solo attraverso il battesimo di sangue di Cristo.

La Chiesa è madre solo su un piano storico-spirituale mentre Maria lo è anche sul piano ontologico-spirituale, Maria è stata eletta madre e sacerdotessa direttamente da Dio mentre la Chiesa, pur fondata da Cristo, ha il non facile compito di tramandare e preservare nella sua purezza il messaggio salvifico del suo vangelo (senza cioè adulterarne il senso originario nei passaggi intergenerazionali) e deve assumersi ogni volta la responsabilità di “ordinare” i suoi ministri senza avere alcuna esplicita garanzia che in tale materia le sue scelte e le sue decisioni corrispondano esattamente alla volontà del Signore la quale tuttavia non può essere né compromessa né arrestata da eventuali o reali errori umani.

Maria è sicuramente degna sacerdotessa pur non essendolo in senso ministeriale, mentre i presbiteri che vengono “ordinati” dalla Chiesa possono essere degni sacerdoti ma non è affatto detto che lo siano necessariamente, cosí come non è affatto scontato che un prete o un vescovo sia, in quanto tale, dotato di maggiore dignità sacerdotale rispetto ad un sacerdote laico ovvero non “ordinato” presbitero. Di qui la necessità che la Chiesa, prima di mettersi al servizio dell’umanità e del prossimo oltre che al servizio di Dio, impari permanentemente ad emulare Maria, la sua fede, la sua leale e non ambigua obbedienza al Signore, la sua purezza e l’integrità dei suoi atti, la sua inequivoca diaconia: di qui anche la necessità che i presbiteri, senza eccezione di sorta, non si illudano di poter essere discepoli e servi di Dio senza accettare di genuflettersi per l’eternità anche dinanzi alla sua santissima Madre non solo in termini dottrinari ma anche e soprattutto in termini esistenziali. Se non vogliono rischiare di condividere la superbia di Satana che resiste violentemente all’idea di doversi inginocchiare al cospetto di una semplice donna quale Maria, che ha ricevuto il santo privilegio di schiacciarlo sotto i piedi con la sua discendenza, i presbiteri come i semplici sacerdoti dovranno sempre implorarla con rispetto ed amore non falsi affinché i loro sforzi di seguire Gesù non siano vani o insufficienti.

In particolare, da Maria occorre apprendere a non credere una tantum, a non acquisire cioè una fede puramente abitudinaria o meccanica che venga trascinata nella prassi quotidiana della propria vita come una sorta di schema mentale fisso mai suscettibile di variazioni, di correzioni e integrazioni o arricchimenti all’interno della convulsa e complessa dinamica della realtà storica e spirituale personale e collettiva. E’ da lei invece che bisogna ottenere di capire quali siano i modi più giusti e genuini di rendere la propria fede da una parte sempre più stabile e disciplinata e dall’altra sempre più operosa, responsabile e proficua: perché anche Maria, proprio Maria, nel corso della sua vita non credette una sola volta compiendo un solo grande atto di fede ma fu chiamata a rinnovare la sua fede incessantemente in mezzo ad inattese e spesso drammatiche difficoltà e a sperimentarla quindi  non solo come estasi ma anche come tormento.

I fedeli che, sostenuti da Maria, avranno la buona volontà e la capacità di capire cosa sia realmente la fede e cosa venga effettivamente implicando, saranno anche in grado di comprendere il significato o l’essenza del titolo di “sacerdote” e di riconoscere «il “peso specifico” e l’efficacia» del sacerdozio anche nella sua specifica valenza ministeriale. Scrive Cantalamessa: «Ciò che i fedeli colgono immediatamente in un sacerdote e in un pastore, è se “ ci crede “, se crede in ciò che dice e in ciò che celebra. Chi dal sacerdote cerca anzitutto Dio, se ne accorge subito; chi non cerca da lui Dio, può essere facilmente tratto in inganno e indurre in inganno lo stesso sacerdote, facendolo sentire importante, brillante, al passo coi tempi, mentre, in realtà, è un “bronzo che tintinna e un cembalo squillante”. Perfino il non credente che si accosta al sacerdote in uno spirito di ricerca, capisce subito la differenza. Quello che lo provocherà e che potrà metterlo salutarmente in crisi, non sono in genere le più dotte discussioni della fede, ma il trovarsi davanti a uno che crede veramente con tutto se stesso. La fede è contagiosa. Come non si contrae contagio, sentendo solo parlare di un virus o studiandolo, ma venendone a contatto, così è con la fede» (Ivi).  

Allora chi è destinato a diventare più “santo”: il semplice battezzato, sacerdote regale e profetico in Cristo, o il battezzato “unto e ordinato” sacerdote per mezzo dei “poteri dell’ordine sacro”? E’ difficile dire, ma chi si affiderà a Maria con tutto il cuore non potrà non riscuotere le maggiori simpatie del suo e del nostro Dio.