Vegliare e vigilare come Maria

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Maria di Nazaret vegliò per tutta la sua vita, attese sin dalla prima infanzia che il Signore venisse e si manifestasse concretamente nel mondo, confidò con candida e innocente ingenuità nella infinita sensibilità di un Padre divino che vuole farsi conoscere ed amare dai suoi figli migliori, da quei “semplici” che non pretendono di ottenere i suoi prodigiosi e benefici interventi nel corso della loro vita terrena ma che non dubitano minimamente del fatto che in ogni momento egli può irrompere potentemente e gloriosamente nella vita del mondo e nella stessa vita personale di ognuno di noi. Maria concepì Dio non solo come un generico ed astratto Ente trascendente ma come qualcuno che, ancorché onnipotente e omnisciente, parlasse con gli uomini, condividendone ansie ed aspettative, e agisse tra essi per soddisfare i loro legittimi bisogni e per orientare le loro esistenze verso una condizione di vera ed eterna libertà. Maria, nella sua smisurata umiltà, non sapeva se Dio avrebbe mai parlato con lei ma sapeva che Dio aveva già parlato con alcuni uomini e donne prima di lei, certa comunque che anche le sue preghiere e le sue invocazioni non sarebbero rimaste deluse. In effetti, Dio non solo si sarebbe rivolto a quella piccola fanciulla di Nazaret ma le avrebbe addirittura comunicato che ella sarebbe diventata la madre del Figlio di Dio e la madre di Dio stesso. Ella fu passiva nelle mani del suo Signore, ma, per assecondarne la volontà, avrebbe dovuto anche impegnarsi attivamente, esponendosi ad ogni genere di pericolo e a situazioni oltremodo rischiose e drammatiche. Per dire sí a Dio, dovette dire molte volte no, non senza grandissimo sforzo, al mondo, alle sue lusinghe, alle sue promesse, alle sue tentazioni. Fu perciò contemporaneamente donna al di sopra di ogni donna e donna tra donne, donna sofferente più di qualsiasi altra donna non solo perché sottoposta a prove dolorosissime e devastanti ma anche perché, pur sapendosi genitrice fisica e spirituale non di un semplice uomo ma dell’unico e sommo Dio, dovette sperimentare l’umiliazione e il dolore indicibile di vedersene privata nel modo più vergognoso e più tragico. 

Ma Maria anche nel momento della morte di Dio e della sua angoscia più grande, non dimenticò le parole divine: continuò a pregare, ad aspettare, ad essere vigilante. Rimase pronta al ritorno del Signore perché consapevole che il Signore è eterno e non può essere sconfitto dalla morte pur soggiacendovi temporaneamente per la salvezza dell’umanità. E noi credenti, se lo siamo veramente, riusciamo ad essere sempre pronti come Maria, a sentire Cristo sempre vicino a noi, noi che pur salvati dal suo sacrificio non riusciamo ancora a liberarci dai nostri peccati quotidiani, noi che pur convertiti al Signore siamo ancora lontani dall’esaudirne i desideri, noi che pur rinati realmente per sua grazia a nuova vita non riusciamo a soffocare completamente l’uomo vecchio che ci abita dentro? Siamo pronti solo retoricamente, quale che sia la nostra personale condizione e il nostro ruolo in seno alla Chiesa, all’irruzione visibile di Dio nella nostra vita o ci aspettiamo veramente di sentirne da un momento all’altro la voce e di percepirne l’oggettiva presenza? Ci gridiamo gli uni gli altri che è necessario testimoniare la nostra fede in assoluto spirito di verità e con atti concreti solo per mettere meglio a tacere la nostra incapacità di dire e fare con cronometrica puntualità evangelica cose effettivamente sensate e gradite a Dio oppure perché, ben consci della nostra pochezza e dell’inutilità del nostro modo di servire Cristo, cerchiamo tuttavia, confidando nella sua infinita misericordia, di alimentare come possiamo quello Spirito divino che soffia incessantemente in noi e nei nostri rapporti con i nostri simili?

Siamo svegli, siamo pronti? Siamo pronti a lottare per la verità senza pretendere che altri avallino le nostre convinzioni e le nostre certezze? A testimoniare la nostra fede senza rischiare di farne un uso strumentale e meramente polemico nei confronti di chi ha una fede diversa o non ha alcuna fede? Ad affermare a voce alta che crediamo in Cristo e nella sua divinità, nei suoi comandi e nei suoi insegnamenti, non tra di noi ma soprattutto quando siamo circondati da coloro che non solo non la pensano come noi ma che ci avversano profondamente? E, tra di noi, siamo pronti a riflettere non ideologicamente e radicalmente sull’idea che ci siamo fatti e ci facciamo ogni giorno di nostro Signore Gesù e a correggere la percezione ancora generica o superficiale che abbiamo della sua volontà? Siamo pronti a fare di tutto perché gli uomini politici e di governo recepiscano l’invito accorato a rispettare la vita del nascituro e la vita di ogni essere umano specialmente nel momento della morte e a varare provvedimenti legislativi che non favoriscano né l’eutanasia, né il divorzio, né la fecondazione assistita, né forme matrimoniali diverse da quella fondata sull’unione uomo-donna, continuando tuttavia a non maledirli e a pregare per loro anche ove le loro decisioni dovessero collidere con le nostre richieste? Siamo insomma pronti, siamo disposti a parlare e a fare le cose implicate dalla nostra fede in modo veramente onesto, leale, veritiero e umile senza che, anche inavvertitamente, ci serviamo della nostra presunta fede solo per far posto al nostro desiderio di prevalere sugli altri, di celebrare le nostre piccole e miserabili vanità personali, di apparire migliori di quanto in realtà non siamo nell’ambito della nostra quotidianità.

Siamo sicuri che Maria di Nazaret oggi si sbraccerebbe per rivendicare il diritto per sé e i suoi seguaci di partecipare ad una trasmissione televisiva molto seguita dal pubblico al fine di manifestare pro-life accanto ad altri che per ipotesi manifestino pro-morte, o non si rivolgerebbe a noi per esortarci a non fare inutili chiassate e ad utilizzare i mezzi e gli spazi che abbiamo per esprimere le nostre convinzioni e proporre il nostro modello di comportamento e di vita? Perché certi preti e certi laici cattolici, che raramente sulla loro stampa e nelle loro emittenti televisive concedono il diritto di replica persino a taluni loro correligionari dotati di uno scomodo ma santo e ispirato “spirito critico”, in un malinteso diritto “di replica” vogliono parlare a tutti i costi, direttamente o indirettamente, anche da tribune cui non siano stati invitati? Per amore della verità e per rispetto della vita oppure per esibirsi su palcoscenici televisivi che catturano l’attenzione e l’interesse di alcuni milioni di persone? E quei presunti politici cattolici, anche se divorziati, che occupano vanitosamente giorno e notte gli schermi televisivi per esprimere concetti e giudizi politici di assai dubbia rilevanza, perché si indignano se non vengono invitati a partecipare proprio a certe particolari trasmissioni? Per amore del bene comune o per un triviale interesse personale ed elettorale?

Inoltre, certi “comunicatori del sacro”, come vescovi e preti, anche a prescindere dalle loro effettive qualità intellettuali, non dovrebbero badare a predicare Gesù e a servirlo molto più sommessamente di quanto non siano capaci di fare ogni volta che saltano a piè pari su piccoli o grandi prosceni giornalistici e/o televisivi che solo in modo equivoco o distorto possono essere fatti derivare dai dettati evangelici? E’ possibile che i rappresentanti ufficiali del “sacro” debbano pretendere di essere anche rappresentanti della cultura e del pensiero in genere? Semmai, non dovrebbero essere più ospitali e disponibili verso quei laici che forse hanno acquisito una formazione critico-culturale più salda e rigorosa della loro e che, sul piano del sapere in genere, potrebbero servire il  Cristo e la sua Chiesa più efficacemente di quanto non sia dato loro di fare?

Ma poi perché tanti di noi cattolici, cosí agguerriti sui temi della vita e della morte, della bioetica e della sessualità, appaiono generalmente molto più tiepidi sull’evasione fiscale, sull’esistenza di patrimoni ingentissimi di contro a forme ingiustificate e intollerabili di vera e propria miseria alle quali non può farsi certo fronte con atti anche apparentemente lauti di elemosina o di beneficenza, sull’assenza molto diffusa di pratiche solidaristiche non già private ma corposamente comunitarie (parrocchia per parrocchia, diocesi per diocesi prima che “sociali”) e insieme di pratiche meritocratiche che contrastino realmente il proliferare di privilegi sociali, di discriminazioni economiche e di distorsioni produttive più o meno gravi e dannose?                   

Il vangelo di Cristo si deve vivere tutto con intensità non variabile, salvo a non volersene fare testimoni ed interpreti ipocriti ed inattendibili. Che Maria ci preservi dalla tentazione di non voler essere integralmente vicini al Figlio suo divino attraverso astute manovre psicologiche che tendano a rimuovere dalla nostra coscienza di persone sempre soggette al peccato il grido evangelico di povertà radicale. Che Maria illumini e protegga quanti, pur sottoposti alla severa umiliazione quotidiana di non saper essere pienamente riconoscenti né a lei né al Figlio suo benedetto, si assumono la responsabilità di criticare ed ammonire non perché migliori di altri, non per odio o rancore verso propri fratelli e sorelle di fede ma nella certezza spirituale di corrispondere anche cosí alla limpida volontà di nostro Signore Gesù Cristo. Che Maria vergine immacolata aiuti quanti, pur dotati di un cuore molto meno verginale ed immacolato del suo, le offrono cuore e vita senza reticenze e infingimenti e con lei recitano consapevolmente nella liturgia della vita questa preghiera: «O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene, perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria a possedere il regno dei cieli. Egli è Dio, e vive e regna».