Cari fratelli vescovi

Scritto da Francesco di Maria.

 

Cari fratelli vescovi, vengo subito al dunque senza giri di parole. Uno di voi aveva giustamente eccepito che «la democrazia è una realtà fragile che ha bisogno di essere sostenuta e accompagnata da norme, da regole, altrimenti non riusciamo più ad orientarci» e che se essa invece «dovesse essere diretta dall’arbitrio di qualcuno o se dovesse essere improvvisata ogni giorno mancherebbe la certezza del diritto, dei rapporti e delle prospettive». E’ vero che norme e regole talvolta non sono in grado di assicurare quel bene sostanziale che una democrazia matura dovrebbe poter garantire a tutti i cittadini ma che a fare un’osservazione del genere siano coloro che nelle loro convinzioni personali e nella loro azione di governo a tutto pensano tranne che a perseguire il bene sostanziale della nazione su tutti i piani del suo vivere civile, ivi compreso naturalmente quello che si riferisce alla eguaglianza effettiva di tutti di fronte alla legge, è quanto meno bizzarro e certamente risibile.

Quando mai costoro hanno mostrato interesse per una democrazia sostanziale e per una giustizia che, esercitandosi senza tener conto delle differenze economiche e sociali che sussistono tra i cittadini, puntasse a ridurre sensibilmente le distanze tra più abbienti e meno abbienti, tra potenti e semplici cittadini dipendenti dalle leggi da essi emanate o fatte emanare, al fine di rendere concreti o effettivi quei diritti di partecipazione politica di cui spesso a torto ci si riempie la bocca? Costoro hanno mostrato interesse per la democrazia e la giustizia sostanziali solo perché, avendo essi commesso errori imperdonabili nell’assolvimento di pratiche preelettorali che avrebbero impedito ai loro sostenitori di gareggiare per la loro affermazione politico-elettorale, non avevano altro da escogitare se non la loro improvvisa passione per il bene sostanziale appunto dei cittadini. E proprio per questo bene ha fatto l’esimio vescovo Mogavero a precisare: «Non credo che in democrazia si possa fare una distinzione fra ciò che sono le regole e quello che è il bene sostanziale, le regole non sono un aspetto accidentale del vivere insieme, ma quelle che dettano il binario attraverso cui incamminarci». Nel caso concreto in questione, questa precisazione è ineccepibile, perché tende a sottolineare che i potenti o i governanti, per primi, devono assoggettarsi al rispetto delle regole anche o specialmente quando dal rispetto delle regole derivi per essi un danno oggettivo, pena il loro apparire completamente privi di credibilità.

Il problema, ha rilevato intelligentemente e onestamente mons. Mogavero, è che in realtà «forse siamo impreparati a una democrazia sostanziale. Ci nutriamo di parole come partecipazione e consenso, poi quando tutto questo confligge con qualcosa che ci penalizza invochiamo altri valori e altre soluzioni estemporanee per riparare ai guasti di chi ha improvvisato e sbagliato». Ecco: cari fratelli vescovi, uno di voi aveva espresso giudizi assolutamente obiettivi e condivisibili, aveva espresso in modo ineccepibile la doverosa consapevolezza cristiana dello stato oggettivo delle cose e di cose particolarmente rilevanti ai fini di una corretta ed ordinata convivenza civile in questo nostro paese.

Egli si era comportato come si comporta il fedele seguace di Cristo che, dinanzi all’abuso manifesto che Cesare fa del suo potere, non esita a farsi testimone visibile della verità e ad ammonire chi governa, nel nome di Cristo stesso, a rispettare le vigenti leggi dello Stato. Ma, dice la maggioranza governativa, volete rendervi conto che milioni di persone sarebbero state private del loro diritto a votare? La risposta è: pazienza, l’errore è stato vostro e, come sempre, anche in questa occasione è giusto che chi sbaglia paghi. Ovviamente, lo stesso ragionamento varrebbe e vale per qualsiasi altro schieramento politico che commettesse analogo errore. Ma come si fa a cambiare le regole di una competizione elettorale quando in pratica essa è già in corso? Può darsi qualcosa di più scorretto e di più immorale?

Certo, il decreto “salva-liste” ha avuto l’avallo del capo dello stato, ma questa circostanza rende solo più drammatica la situazione, perché se neppure il capo dello stato è capace di far rispettare la legalità, consentendo anzi ai trasgressori della legge di farla franca sia pure in nome dei supremi e tanto decantati interessi popolari, vuol dire che la nostra democrazia è non formalmente ma sostanzialmente priva di effettivi controlli istituzionali.

Ora, cari fratelli vescovi, uno di voi aveva avuto il buon senso e il coraggio di ben rappresentare la coscienza democratica cristiana e cattolica, ma voi avete voluto smentirlo affermando successivamente che la sua era da considerarsi come una semplice opinione personale. La motivazione addotta a sostegno di tale posizione è quella per cui «le questioni di procedura elettorale hanno natura squisitamente tecnico-giuridica ed hanno assunto nelle vicende degli ultimi giorni ricadute di tipo politico ed istituzionale», donde proprio considerando «questa connotazione la CEI non ha espresso e non ritiene di dover esprimere valutazioni al riguardo». La CEI non ritiene di dover esprimere valutazioni al riguardo? Si cambiano le regole della vita politico-elettorale in corso d’opera e voi ritenete di non dover esprimere valutazioni?

E come fate poi a pretendere che siano rispettate le regole della vita naturale, le regole della nascita e della morte, le regole del rapporto tra i sessi, quando altri si oppongono alle vostre prese di posizione facendovi notare che essi sostengono idee diverse dalle vostre solo per il bene di tante persone sofferenti o infelici e solo per garantire un trattamento umano e giuridico paritario o più giusto ad un numero piuttosto cospicuo di individui? Molti laici ma anche molti credenti si chiederanno: se voi siete indifferenti alla questione del rispetto delle regole per quanto riguarda la vita politica e quindi la vita associata, con quale diritto poi pensate di potervi ergere a paladini di moralità evangelica nei confronti di coloro che, barando, ovvero modificando le regole o le leggi naturali e morali a loro piacimento, non esitano a parlare di aborto, di divorzio, di matrimonio tra soggetti di uguale sesso, di eutanasia o di cose affini come di pratiche assolutamente inevitabili per assicurare il rispetto della libertà di scelta e persino della dignità di ciascuno e di tutti?

Per cortesia, ve lo chiedo senza astio anche se con una grande pena nel cuore, cercate di essere coerenti, cercate di essere sempre fedeli alla verità, a Cristo Signore. Perché se non siete voi a dare un esempio costante di coerenza e di fedeltà allo spirito evangelico di verità, come farete a convincere le anime che vi sono affidate a desiderare sinceramente di essere più irreprensibili in tutti gli ambiti della loro vita? Qui, cari fratelli vescovi, il conflitto non è affatto, come ben sapete, tra forma e sostanza, ma tra onestà e disonestà, anche se tra coloro che gridano contro le iniquità dell’attuale governo molti dovessero essere a loro volta disonesti. Il vulnus alla vita democratica, alla vita stessa delle persone, è evidente: non c’è ambito della vita civile in cui qualcuno quotidianamente non tenti di cambiare le regole a suo vantaggio personale. Personalmente ho esperienza di avvocati che, adottando espedienti giuridici disonesti, cercano di far cadere sui condomini del fabbricato in cui risiedono spese da essi contratte per la messa in opera di servizi non condominiali ma unicamente personali; e persino di magistrati che combattono il crimine ma che, nel momento in cui devono versare più soldi di altri per aver diritto a vivere nella propria civile abitazione, non esitano a metter da parte la legge per procurarsi maggioranze condominiali fittizie al fine di far valere le proprie indebite pretese a danno di quanti per legge hanno invece e comunque pieno diritto ad opporvisi.

Viviamo ormai in una società in cui la tendenza ad imbrogliare il prossimo è molto più forte della tendenza a trattarlo onestamente ed equanimemente, in cui non la correttezza ma la prevaricazione è la principale norma non scritta di molti comportamenti sociali.  E se voi adesso, come in altri casi non meno significativi e seri sotto il profilo etico-sociale, vi trasformate in tanti Ponzio Pilato, solo perché temete che Cesare potrebbe non erogarvi più i cospicui finanziamenti di cui pensate di avere assolutamente bisogno, oppure per non alienarvi le simpatie di tutti quegli ipocriti benpensanti e possidenti che trattate il più delle volte come i vostri più congeniali alleati, quale credibilità pensate di poter conservare agli occhi della parte più consapevole e responsabile del popolo di Dio? 

Riflettete: «In passato, quante sono state le esclusioni dalle elezioni di candidati e liste, per gli stessi motivi di oggi? Chi ha protestato? Tantomeno: chi ha mai pensato che si dovessero rivedere le regole per ammetterle? La legge garantiva l’uguaglianza nella partecipazione. Si dice: ma qui è questione del "principale contendente". Il tarlo sta proprio in quel "principale". Nelle elezioni non ci sono "principali" a priori. Come devono sentirsi i "secondari"? L’argomento del principale contendente è preoccupante. Il fatto che sia stato preso per buono mostra il virus che è entrato nelle nostre coscienze: il numero, la forza del numero determina un plusvalore in tema di diritti…Il "principale contendente" è il beneficiario del decreto ch’esso stesso si è fatto. Le pare imparzialità? Forse, penseremmo diversamente se il beneficiario fosse una forza d’opposizione. Ma la politica non è il terreno dell’altruismo. Ci accontenteremmo allora dell’“imparzialità".» (Intervista di L. Milella al costituzionalista G. Zagrebelsky in “La Repubblica” del 7 marzo 2010). Vi sembra una questione di poco conto? Vi sembra una questione per la quale si possa fare anche a meno di dire la verità?

Perciò, in attesa di sentire al riguardo anche la voce del vostro segretario generale monsignor Mariano Crociata che stranamente sinora non ha proferito parola,  vi chiedo, come l’ultimo e il più infimo dei credenti in Cristo, di rispettare voi stessi, di rispettare la croce che portate sempre sul petto, affinché quella croce non rischi di essere percepita dai semplici più come un simbolo di menzogna che come un simbolo di verità e di amore.