Anche noi come Maria?

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

La fede cattolica si fonda sul fatto che, come ha detto il papa nella notte di Natale, Dio è apparso. Non è più soltanto un’idea, non soltanto qualcosa da intuire a partire dalle parole. Si è mostrato. E’ uscito dalla luce inaccessibile in cui dimora. Egli stesso è venuto in mezzo a noi. Egli è “apparso” (Benedetto XVI, Omelia alla Messa della Notte di Natale, 2011). Il problema è che, per molti cattolici, pur costituendo il concreto e storico manifestarsi di Dio un dogma irrinunciabile della loro fede, molto difficilmente questa credenza religiosa supera i confini di un’accettazione puramente psicologica, mentale e sentimentale, per entrare nello spazio delle cose realmente vissute, delle certezze storico-esistenziali più indiscutibili della nostra vita, e di esperienze vere e reali quali sono ad esempio quelle della luce, del suono o dell’odore.

Forse non dovrei permettermi, anch’io cattolico e proprio come cattolico, di esprimere un giudizio cosí preoccupato e apparentemente severo, ma in realtà spero che né superbia né mancanza di carità bensí una umile, disincantata e onesta osservazione della nostra realtà umana e comunitaria mi porti a dolermi di tale situazione e a testimoniare per contro la necessità di un mai sufficiente e definitivo risveglio delle coscienze cristiane e cattoliche dinanzi all’annuncio dell’angelo del Signore ai pastori che «se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano visto e udito» (Lc 2, 9-20). Già, perché noi cattolici, come pastori che vedono e odono cose stupefacenti, non dovremmo essere semplicemente acquiescenti verso le acquisizioni già date della nostra fede ma dovremmo continuare a riflettere su essi e approfondire interiormente il mistero che esse contengono.  

Noi oggi dovremmo non semplicemente avvertire una certa nostalgia per quel Dio che nacque sulla terra tanto tempo fa e in relazione al quale  oggi stentiamo persino a far sopravvivere il senso spirituale di rituali celebrazioni liturgiche; dovremmo commuoverci non solo perché la nascita del Salvatore viene annunciato a Maria di Nazaret, incantevole e speciale creatura, madre di Dio e madre nostra, anche lei a rischio di esser percepita come icona sempre più eterea e staccata dalla sfera delle cose sensibili e dai concreti affanni degli uomini, nonostante interminabili pellegrinaggi e processioni in suo favore e presunte sue “apparizioni” quasi quotidiane, ma anche perché essa viene annunciata dall’angelo del Signore a persone ancora più comuni ed anonime di Maria, se è possibile dire cosí, a persone ancora più povere e più “indegne” di lei quali sono per l’appunto “i pastori”, pastori beninteso non di anime ma di semplici bestie.

La venuta del Dio-tra-noi è stato veramente annunciata, ed è stata annunciata non solo ad una vergine particolarmente gradita al Signore e già dotata di santa volontà o predisposta per divina grazia ad esercitarla, ma anche ad esseri umani peccatori e disprezzati dalla società tra cui potrebbero ancor oggi essere inclusi molti di noi.    

Se non riusciamo a sentire intimamente, spiritualmente, più che a comprendere concettualmente che di quel Dio-con-noi Dio stesso ha parlato o fatto parlare non solo ad essere straordinari come Maria o come qualche santo profeta ma proprio a persone come noi, non santi né “di spirito profetico” dotati ma infimi peccatori o socialmente respinti e tenuti lontani da ogni riconoscimento, da ogni onore o privilegio; se non siamo convinti che Dio stesso ancor oggi può continuare a comunicare e talvolta comunica quel Dio-con-noi, in mille modi diversi ma tutti ugualmente rilevanti sotto un profilo esistenziale seppur non sempre intersoggettivamente accertabili, a gente normale anche se socialmente ininfluente, lucida e non allucinata benché sottoposta a molteplici e sfavorevoli condizionamenti, a gente come noi, come tanti di noi, vuol dire che la nostra fede non è ancora matura, non è ancora perfetta come quella che ci è stata e ci è richiesta da nostro Signore.

Maria, prima dell’Annunciazione nella sua casa di Nazaret, credeva che Dio si sarebbe manifestato sensibilmente e visibilmente nella storia degli uomini: è per questo che, per quanto turbata dal fatto che l’angelo le appaia e le preannunci la sua divina maternità, ella rimane profondamente toccata, commossa, ma non terrorizzata. Non si aspettava di essere lei testimone dell’irruzione divina nella storia degli uomini ma sapeva bene che il Signore prima o poi sarebbe sceso tra gli uomini. E si limita a chiedere all’angelo come sia possibile che ella, pur non conoscendo e non volendo conoscere uomo, possa concepire nientemeno che il Figlio unigenito di Dio. Oggi, il problema dei cattolici è di capire che ogni sincero credente nel vero ed unico Dio, nel Dio dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento, può essere visitato (può, non deve) da Dio, purché lo cerchi con una totale e radicale sincerità di cuore.

Chiunque faccia reale e non meramente simbolica esperienza di incontrare il Dio-con-noi e avverta non una gioia illusoria e poi deprimente ma vitale e rigenerante perché «legata all’adorazione della sua presenza dentro di noi», si trova davvero nella condizione di chi, come Maria, fa un’esperienza accessibile di Dio e scopre che il grembo della sua anima non è sterile ma può, sia pure in modo del tutto inatteso e sorprendente, accogliere Gesù nella sua vita.

Qui bisogna lasciare la parola a chi è ben più ispirato di noi: «parole come queste: “Quello che era da principio, Quello che noi abbiamo udito, Quello che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, Quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita, noi Lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi” (1 Gv, 1-3), sembrano solo annunciare un’irripetibile esperienza lontana, e perciò un’impossibile comunione. Per molti, Gesù è Quello cui credere mentre sta nascosto come il sole di una notte senza giorno; Quello presente in un Pane eucaristico del tutto insipido; Quello che solo i mistici e i santi riescono a “vedere” e “toccare”. Sorge perciò la domanda: come possiamo noi, peccatori, sentirci realmente in comunione con i pastori di Betlemme e con tutti quelli che li udivano? Costoro non erano né santi né mistici (come l’apostolo Giovanni), eppure passarono avanti ai sacerdoti e ai devoti di Israele per annunciare a tutti ciò che avevano udito e veduto. Il Signore non guardò solamente l’umiltà di Maria, glorificandola come Madre di Dio, ma guardò anche l’umiltà dei pastori, facendone dei testimoni “glorificati” dalla luce della sua Presenza. Essi infatti “se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano visto e udito” (Lc 2,21), ed erano assolutamente convincenti e credibili perché tutti li vedevano trasfigurati. Allo stesso modo Dio guarda oggi al cuore di ognuno di noi, e mentre guarda bussa per entrare e donarci quella “gioia piena alla sua presenza” (Salmo 16/15, 11) che sperimentarono i pastori di Betlemme e, in misura incomparabile, la sua santa Madre» (Padre Angelo del Favero, Essere anche noi madre di Dio, in “Zenit” dell’1-1-2012). Egli ci tratta esattamente come trattò Maria di Nazaret all’unica condizione che cerchiamo di fare con tutte le nostre forze la sua volontà: infatti, “Chi fa la volontà di Dio, costui è per me... madre” (Mc 3,35)» (Ivi).

Ma allora possiamo avere persino la speranza di essere per nostro Signore come Maria? Certo che no, certo che sí.