La sessualità nella Bibbia

Scritto da Pierluigi Sensini.

 

Nell’ebraismo il significato della sessualità non appare limitato all’aspetto fisico-corporeo della vita maschile e femminile ed esso non può essere perfettamente compreso se non alla luce di altri aspetti che fungono da suoi imprescindibili presupposti. Per gli ebrei, infatti, la sessualità non può essere considerata indipendentemente da quella che è secondo la loro fede o le loro convinzioni religiose la natura umana, la quotidiana attività dell’uomo e il suo rapporto con Dio. In tal senso, la sessualità non è vista come peccato, come qualcosa che intrinsecamente minacci l’integrità della vita di uomo e donna ma è parte integrante di quest’ultima e, come tale, al pari di tutti gli altri aspetti dell’esistenza umana, è oggetto di un processo educativo che non ha nulla di impositivo o repressivo, per cui essa, lungi dall’ostacolare l’elevazione spirituale della persona e del popolo, la favorisce consentendo all’una e all’altro di adempiere più agevolmente la volontà di Dio.

La sessualità nella Bibbia riveste un importante significato teologico-spirituale. Nella Genesi abbiamo una duplice immagine della creazione divina: quella per cui Dio crea l’uomo in quanto maschio e in quanto femmina, dove è evidente il simbolismo della parità sociale e spirituale tra uomo e donna, e quella per cui Dio trae la donna non dalla testa né dai piedi dell’uomo-maschio ma dal suo fianco, dove si evidenzia simbolicamente la pari dignità e la vicendevole complementarità dell’uno rispetto all’altra. Per cui, proprio alla luce di tali significati, l’uomo e la donna sono destinati ad unirsi indissolubilmente e a diventare “una sola carne”, ovvero a passare, pur in una condizione di parità-diversità, da un “io” solitario ed egoistico ad un “noi” solidale e amorevolmente innovativo rispetto ai precedenti stati individuali di vita e ad un “noi” altresí funzionale ad un preciso progetto spirituale ed escatologico di Dio: il “crescete e moltiplicatevi” nella complessità dei suoi molteplici significati pratici e religiosi.

Sí, ma l’amore sensuale, l’erotismo, di cui sono piene tante pagine bibliche, cosa hanno a che fare con l’escatologia o con l’allegoria in cui la Chiesa cattolica cerca generalmente di contenere l’interpretazione di vicende bibliche di natura innegabilmente amorosa? La Chiesa giustamente si preoccupa di salvaguardare la sacralità della Bibbia, anche se ci sono passi biblici il cui contenuto erotico e sensuale è inequivocabile e difficilmente riconducibile, se non a costo di evidenti forzature esegetiche, a significati puramente allegorici. Si pensi, per esempio, a quegli stupendi passi del “Cantico dei Cantici” che recitano testualmente cosí: «Come sono belli i tuoi piedi nei sandali, figlia di principe! Le curve dei tuoi fianchi sono come monili, opera di mani d’artista. Il tuo ombelico è una coppa rotonda che non manca mai di vino aromatico. Il tuo ventre è un covone di grano, circondato da gigli. I tuoi seni sono come due cerbiatti, gemelli di una gazzella. Il tuo collo come una torre d’avorio, i tuoi occhi come le piscine di Chesbon presso la porta di Bat-Rabbìm, il tuo naso come la torre del Libano che guarda verso Damasco. Il tuo capo si erge su di te come il Carmelo e la chioma del tuo capo è come porpora; un re è tutto preso dalle tue trecce. Quanto sei bella e quanto sei graziosa, o amore, piena di delizie! La tua statura è slanciata come una palma, i tuoi seni sembrano grappoli. Ho detto: “Salirò sulla palma, coglierò i grappoli di datteri”. Siano per me i tuoi seni come grappoli d’uva e il tuo respiro come profumo di mele. Il tuo palato è come vino squisito che scorre morbidamente verso di me e fluisce sulle labbra e sui denti!». E poi: «Io sono del mio amato e il suo desiderio è verso di me. Vieni, amato mio, andiamo nei campi, passiamo la notte nei villaggi. Di buon mattino andremo nelle vigne; vedremo se germoglia la vite, se le gemme si schiudono, se fioriscono i melograni: là ti darò il mio amore! Le mandragore mandano profumo; alle nostre porte c’è ogni specie di frutti squisiti, freschi e secchi: amato mio, li ho conservati per te. Come vorrei che tu fossi mio fratello, allattato al seno di mia madre! Incontrandoti per strada ti potrei baciare senza che altri mi disprezzi. Ti condurrei, ti introdurrei nella casa di mia madre; tu mi inizieresti all’arte dell’amore» (CDC, 7, 2-14 e 8, 1-2).

Che dire se non che la sublime bellezza e delicatezza poetica di questi versi non riducono per niente il forte impatto emotivo e l’audace carica erotica del rapporto amoroso tra uomo e donna che essi descrivono e cantano in modo mirabile? Questi versi, come è stato giustamente scritto, sono un vero e proprio «inno all’amore sensuale senza falsi pudori». In essi non c’è nulla di “platonico”, nulla di “allegorico”. Quel che essi rappresentano sembra essere una gioia innocente dei sensi quale potrebbe manifestarsi forse in una condizione edenica anteriore al peccato originale e questo comporta appunto che la sensualità come la bellezza vissute nelle loro forme naturali e di per sé prive di significati perversi e peccaminosi non sono per l’israelita un elemento che allontani l’uomo da Dio o aspetti della vita umana che debbano essere sublimati in forme spiritualistiche ritenute a Dio più gradite.

Tuttavia, nella tradizione cattolica la sessualità è stata spesso recepita ora in chiave repressiva, ora in chiave quanto meno difensiva: ovvero come un aspetto particolarmente delicato della nostra vita personale e già in se stesso carico di una istintualità che, se non tenuta costantemente a freno dalla ragione e soprattutto dalla volontà sostenuta dalla preghiera, può produrre guasti o danni spirituali molto seri. Per la Chiesa i sensi, l’amore erotico, sono certamente realtà naturali create da Dio al pari di tutte le altre realtà naturali riguardanti la vita degli esseri umani, ma l’uso umano di esse può trasformarle in qualcosa di innaturale e peccaminoso, in qualcosa che può cioè pervertirne la vera funzionalità e l’intima bellezza. Questa è la ragione per la quale la Chiesa cattolica ha sempre considerato il tema della sessualità, sia pure con accenti via via diversi, come un tema dai significati non univoci ma persistentemente ambigui. Certo, oggi la Chiesa non consiglia più ai maschi, come faceva sant’Agostino, di sposare donne brutte per evitare l’eccessiva passione dei sensi, anche perché un invito del genere esprimeva probabilmente più un problema personale dello stesso Agostino che non il reale significato del messaggio biblico. Tuttavia, la Chiesa non ha mai rinunciato a maneggiare dottrinariamente con molta cautela la bellezza fisica, come il rapporto amoroso e le sue implicazioni erotiche.

La Chiesa, pur non negando la possibile liceità di taluni fenomeni amorosi caratterizzati nel quadro di particolari situazioni umane da una struggente e prolungata passione erotica e pur mostrandosi sempre pronta a perdonare gli innumerevoli peccati che in questo campo si commettono e che vengano  tuttavia sinceramente confessati come colpe, ammonisce a non perdere mai di vista i confini della propria libertà, al di là dei quali diventa molto facile smarrire il normale rapporto con Dio (si pensi al re Davide) o instaurare con lui un rapporto ancora non nato di amicizia. Essa dunque ritiene che anche bellezza corporea, sessualità e sensualità, possano e debbano essere “spiritualizzate” e “purificate” al fine di farne strumento di elevazione verso Dio.

Si può dire che la Chiesa non demonizza la bellezza fisica tanto ammirata nella cultura religiosa ebraica e la passione dei sensi in essa altrettanto schiettamente celebrata, ma piuttosto segnala il pericolo che l’una e l’altra, coltivate in modo indiscriminato e arbitrario, entrino in rotta di collisione con l’amore verso Dio e verso lo stesso prossimo. La relativa precettistica cattolica, spesso ingiustamente criticata, nasce proprio dalla preoccupazione che un legittimo bisogno di appagamento dei sensi possa trasformarsi e degenerare in un eccesso ossessivo di desiderio carnale che non può non svuotare alla lunga la coscienza personale di ogni bisogno di purificazione spirituale e di elevazione a Dio.

D’altra parte, la concezione ebraica della sessualità è, se si vuole, più materialistica rispetto a quella cristiana e cattolica fino ad un certo punto, perché è vero che gli ebrei non si fanno scrupolo di cantare la bellezza e la sensualità femminili ma è altrettanto vero che essi non le concepiscono mai come disgiunte dalla personalità complessiva della donna, in modo tale che non possano configurarsi né come elementi di corruzione e disintegrazione dell’integrità del popolo né come elementi di pura e semplice vanità. Tant’è vero che i “Proverbi” recitano significativamente: «Una donna bella ma senza cervello è come un anello d’oro al naso di un maiale» (11, 22). Per dire che, proprio perché tutto è dono di Dio, bisogna curare l’aspetto interiore non meno di quello esteriore. In questo senso, non c’è dubbio che per il biblico uomo di Israele il corpo, soprattutto nella donna, ha un importante significato e la bellezza fisica ha un suo significato reale e non allegorico, e la Bibbia veterotestamentaria non ha alcuna reticenza ad affermare ciò. In essa, il fatto che le donne si trucchino per farsi belle e affascinanti viene presentato come un fatto del tutto normale che non ha in sé nulla di sconveniente o di illecito, come si evince chiaramente dal racconto biblico della coraggiosa Ester che, prima dell’incontro con il re Assuero, si massaggia con oli di mirra per sei mesi e per altri sei mesi ricorre a balsami e cosmetici (Ester, 2, 12), o da quello di Iezebel, moglie del re Acab, che si trucca gli occhi e si orna il capo (2 Re 9, 30).

Non solo: la Bibbia è molto esplicita sullo stesso atto sessuale, dal momento che il “fare l’amore”, se non venga stupidamente e peccaminosamente ostentato o esibito, ma vissuto con tenerezza ed amore, è un momento importante e pieno di senso nella vita degli individui e, mentre completa l’intesa della coppia, sublima lo spirito e fa che il corpo sia tutt’uno con questo. Il matrimonio e quindi la vita in comune tra un uomo e una donna viene magnificamente descritto in questi termini: «Benedetta la tua sorgente, la donna che hai sposato nella tua gioventù! Con lei sii felice. Cerva graziosa, amabile gazzella! Il tuo seno ti colmi sempre di piacere, ed ella ti abbracci nel suo amore» (Pr 5, 18-19). E l’esistenza del concubinaggio, della poligamia, di una concezione mercificata della donna, non impediscono che l’amore tra due esseri umani di diverso sesso, uniti in matrimonio e fatto di dedizione e donazione reciproche nell’anima e nel corpo, costituisca la forma più bella e più solida di amore tra uomo e donna.

Né si deve pensare che Israele tolleri l’esercizio della sessualità al di fuori di certe regole religiose e sociali ad un tempo che presiedono allo svolgimento ordinato della vita individuale, familiare e spirituale dell’intera comunità. In particolare, l’infedeltà della donna nei confronti del marito, la prostituzione, lo stesso adulterio sia femminile che maschile trovano nel popolo d’Israele la massima disapprovazione morale e religiosa che viene poi traducendosi in misure giuridiche e punizioni molto severe verso i trasgressori. Recita il libro di Geremia: “Io li avevo saziati, ma essi hanno commesso adulterio e tutti corrono a prostituirsi. Sono come stalloni ben pasciuti e focosi, ognuno nitrisce alla moglie del suo vicino” (5, 7-8).

Sia la prostituzione che l’adulterio allontanano da Dio spingendo a ricercare qualcosa che esula dal realizzarsi in quanto uomini e donne del popolo eletto. Particolarmente grave è considerato «l’adulterio con donne straniere, soprattutto con prostitute sacre», cui non si sottrasse lo stesso re Salomone, costituendo esso «una negazione radicale del proprio Signore, una ricerca di nuove sensazioni al di fuori della legge d’Israele e quindi adorazione di falsi idoli»: «Voi rubate, uccidete, commettete adulterio, giurate il falso, offrite sacrifici a Baal e seguite divinità straniere» (Ger 7, 9).

Questi sono i paletti fissati dalla religiosità ebraica all’esercizio della sessualità. Tuttavia, al di qua di questi paletti, il rapporto sessuale, ritenuto giusto ed essenziale per la vita dell’uomo e della donna, non è sottoposto ad alcuna censura preventiva circa le modalità in cui esso debba svolgersi. Ad eccezione della norma relativa all’impurità mestruale della donna che impone a questa di non avere rapporti appunto durante il periodo mestruale, non ci sono altre norme che regolamentino il rapporto sessuale, nel senso che esso può essere goduto dalla coppia liberamente e senza restrizioni di sorta. La sessualità, pertanto, quali che siano le forme in cui venga esercitata, non rende impuri agli occhi di Dio. Solo in Esodo 19, 14-15, si legge che Mosè, in attesa di incontrare Dio, invita il suo popolo ad astenersi dai rapporti sessuali per tre giorni, ma non perché altrimenti il popolo diventasse impuro quanto perché ogni singolo componente del popolo e dunque l’intero popolo concentrassero doverosamente ogni attenzione sull’incontro con il Signore.

Ma Gesù come lo avrebbe considerato il sesso? Nelle sue parole il sesso non è mai biasimato o scarsamente considerato, tanto che non solo non esita a partecipare alle nozze di Cana ma si adopera, su richiesta implicita di Maria, per rendere ancora più godibile quella festa nuziale arricchendola miracolosamente di un vino nuovo e raffinato che non poteva tra l’altro non disinibire i sensi. Né Gesù si lascia mai andare a considerazioni moralistiche sull’amore come eros. Certo, l’eros, è stato ben osservato, «non è amore gratuito, esige un contraccambio e difatti nella realtà è la spinta prepotente del desiderio verso la persona amata per condividere il piacere sessuale e gratificare cosí l’esigenza di unità profonda e di pienezza» e tuttavia «se non è legato all’affettività e alla tenerezza, può essere anche una forza negativa, carica di aggressività, di egoismo e può restare chiuso nelle pulsioni dell’istinto sacrificando cosí l’altro. L’eros è fragile e sublime, è la natura umana nella sua bellezza ed ambiguità, fra la vita e la morte, fra il dono e il possesso». Gesù si mostra perfettamente consapevole e convinto di tutto ciò e lascia ad ognuno di noi la responsabilità delle nostre scelte, dei nostri sguardi, dei nostri desideri, dei modi insomma in cui riteniamo volta a volta di dover usare la nostra sessualità in rapporto a noi stessi e agli altri, e in rapporto alle stesse aspettative di Dio.

Che poi si possa decidere di astenersi dai rapporti sessuali per tutta la vita per meglio servire il Signore, cioè per essere più liberi e più pronti a servirlo, è cosa certamente gradita a Cristo che però non ha una sola parola di condanna o di semplice sottovalutazione per il matrimonio e la sessualità, e in lui, come nello stesso Paolo di Tarso talvolta grossolanamente frainteso su questo punto, non esiste alcuna preoccupazione di stabilire «una supremazia della scelta consacrata rispetto a quella sponsale».

La Bibbia, dunque, nell’Antico come nel Nuovo Testamento, è una fonte preziosissima anche per quanto riguarda l’educazione alla sessualità. Oggi, alla luce dell’insegnamento biblico, recepito correttamente anche attraverso il magistero ecclesiale e pontificio, «educare alla sessualità vuol dire spogliarsi di tanti stereotipi che ci hanno condizionato per secoli, vuol dire anche saper leggere e decodificare i messaggi che ci giungono, anche quelli religiosi, che hanno condizionato il nostro modo di essere, di comportarci, di educare. Una visione non chiara della sessualità può determinare un uso della medesima, superficiale, improprio, insoddisfacente, che può generare violenza sugli altri e su se stessi. I miti odierni, legati a idealizzazioni del nostro corpo, non certo supportati da brani delle Sacre Scritture, non fanno altro che diminuire la valenza della nostra sessualità e renderla oggetto di immagini fittizie, di sperequazioni commerciali, di esaltazione della semplice e riduttiva genitalità, come mezzo di onnipotenza per l’uomo e di sottomissione della donna. La Bibbia ci insegna che, diversamente dall’immagine dei miti odierni e di alcuni stereotipi religiosi tradizionali, l’atto sessuale non è semplicemente il coito, “fare l’amore” può voler dire baciarsi, toccarsi e deve porre il maschio in una dimensione diversa, che cerchi di conoscere la sessualità femminile, riscoprendo una dimensione diversa dell’amore. Educare alla sessualità, partendo da un messaggio biblico-religioso, vuol dire imparare a capire i messaggi del nostro corpo e di quello dell’altro, vuol dire individuare le potenzialità della nostra sessualità, ma anche i suoi confini».