Francesco d'Assisi vero

Scritto da Francesco di Maria.

 

Contrariamente a quel che è in uso pensare in taluni ambienti religiosi, politici ed ecologisti, Francesco di Assisi non fu affatto un campione di ecumenismo indiscriminato (perché lontano da sincretismi ed irenismi religiosi), di comunitarismo esasperato (perché la povertà a favore degli altri dev’essere una libera scelta, non un’imposizione o una costrizione violenta), di ambientalismo viscerale (perché a lui la bellezza delle realtà naturali interessa solo in quanto manifestazione della bellezza e della potenza di Dio), di pacifismo aprioristico (perché, talvolta, per proteggere i deboli o le cose sante della fede non può farsi a meno di usare le maniere forti). Egli non propose un cristianesimo dolciastro, ingenuo e remissivo; un cristianesimo sempre sorridente e sempre preoccupato di tutelare gli equilibri ecoambientali e soprattutto gli animali piuttosto che la correttezza dei rapporti interpersonali e sociali. Fu certo un uomo mite e inoffensivo, ma non cosí pacioso e disciplinato da non reagire energicamente a tutto ciò che venisse oltraggiosamente contrapponendosi alla sua fede in Cristo.

La stessa Chiesa, da lui venerata in quanto Chiesa di Cristo, avrebbe trovato non tanto nelle sue parole quanto nella sua condotta di vita ora un sostegno formidabile, ora una silenziosa ma radicale e pungente contestazione. E quelle stesse parole severe che egli, perfettamente in linea con il magistero ecclesiastico e pontificio, usa spesso nelle sue lettere, come “castigo”, “inferno”, “peccato”, “punizione”, “morte”, “maledetti”, hanno come destinatari espliciti gli infedeli, i potenti ovvero politici, magistrati o capi militari (si veda la “Lettera ai reggitori dei popoli”), gli stessi fedeli laici impenitenti, ma anche tutti gli uomini di Chiesa “indegni” di ogni ordine e grado (significativa è in proposito la “Lettera ai chierici”).

Anche il “dialogo interreligioso”, oggi tanto di moda, non lo ebbe certo fra i suoi fautori, perché Francesco professava non il dialogo ma l’evangelizzazione, o se si vuole il dialogo solo ai fini della evangelizzazione dei popoli e delle singole anime. Non è affatto vero storicamente che egli ripudiasse le crociate e che si mettesse al seguito di esse (tentò inutilmente due volte di seguirle perché impedito e solo al terzo tentativo gli riuscí di metter piede sulla terra degli “infedeli” islamici) solo per dialogare con i musulmani, perché in realtà per lui la crociata gli dava innanzitutto l’opportunità di appagare il suo desiderio di “immolarsi con la fiamma del martirio”, secondo quanto riferiscono le fonti francescane duecentesche poi significativamente riecheggiate in alcuni versi del Paradiso dantesco (XI, 100-102), e poi perché era da considerare lecita e doverosa, assolutamente necessaria sia per portare soccorso ai tanti cristiani residenti nelle regioni dominate dalle bande armate islamiche sia per liberare i sacri luoghi della Cristianità dai sacrileghi attacchi e saccheggi dei turchi.

Peraltro, Francesco non fece mancare i suoi elogi a cavalieri e paladini cristiani distintisi in battaglia, come si può leggere nella biografia più antica del santo, in quell’attendibile manoscritto in latino del 1311 scoperto nel 1922-1926 da padre Ferdinand Delorme e da lui chiamato Legenda antiqua sancti Francisci proprio per sottolineare che la maggior parte del materiale in esso raccolto risalisse ai primi compagni del santo.

 Francesco in Oriente, in qualità di cappellano (di cappellano, si noti) della quinta crociata, non andò certo per portare messaggi di ambigua pacificazione e per predicare una sorta di irenismo religioso in cui tutte le fedi potessero convivere tranquillamente, ma per predicare il vangelo e per convertire i musulmani a Cristo. E anzi, nel quadro della sua pacifica predicazione evangelica, c’è un aspetto “bellico” di Francesco, un aspetto ancora non molto noto, ed è quello per cui egli, per dimostrare al sultano d’Egitto, Malik al-Kamil, la superiorità di Cristo e del Dio cristiano rispetto a Maometto e al dio islamico, lo sfidò in una pubblica ordalìa a camminare sui carboni ardenti nel nome delle rispettive divinità.

Questo spirito combattivo, determinato, e addirittura “animoso e ardito” viene opportunamente rimarcato nell’enciclica di Pio XI “Rite Expiatis” del 1926: «Francesco “uomo cattolico e tutto apostolico”, come attendeva in modo mirabile alla riforma dei fedeli, cosí si adoperava personalmente ed ordinava ai suoi discepoli di impiegarsi con alacrità alla conversione degli infedeli alla fede e alla legge di Cristo. Non occorre con molte parole rammentare una cosa a tutti ben nota, come cioè il Nostro, mosso dall’ardente brama di propagare il Vangelo e sostenere il martirio, non esitasse a recarsi in Egitto ed ivi comparire, animoso e ardito, alla presenza del Sultano». Fu verso la fine dell’estate del 1219 che Francesco, insieme ad un suo compagno di missione, frate Illuminato, riuscí a parlare con il sultano al-Kamil, massima autorità in quel momento del mondo islamico.

Nessuno storico oggi dubita che quel colloquio si sia svolto allora realmente anche se sul suo contenuto non si hanno né ricordi personali del santo, né cronache musulmane, ma una fonte cristiana particolarmente importante che è contenuta nella biografia di Francesco scritta da san Bonaventura alcuni decenni dopo e che riporta la testimonianza di frate Illuminato: «Il Sultano sottopose a Francesco un’altra questione: “Il vostro Signore insegna nei Vangeli che voi non dovete rendere male per male, e non dovete rifiutare neppure il mantello a chi vuol togliervi la tonaca. Quanto più voi cristiani non dovreste invadere le nostre terre!”. Rispose il beato Francesco: “Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il vangelo. Altrove, infatti, è detto: ‘Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te’. E, con questo, Gesù ha voluto insegnarci che, se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell’occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Proprio per questo i cristiani agiscono secondo giustizia quando invadono le vostre terre e vi combattono, perché voi bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla religione quanti uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare e adorare il Creatore e Redentore del mondo, vi amerebbero come se stessi”».

Ne esce pienamente confermato il giudizio di papa Pio XI circa l’assoluta fedeltà del santo di Assisi “alla fede della Santa Chiesa Romana”, espressione usata da frate Tommaso da Celano, che fu uno dei primi discepoli di Francesco ed è considerato una fonte in buona parte attendibile. Questi riferisce, nella “Vita secunda Sancti Francisci”, altre significative parole di Francesco: «Tutti coloro che videro il Signore Gesù Cristo nella sua umanità, ma non credettero che Egli era il vero Figlio di Dio, sono dannati. Parimenti, tutti coloro che oggi, pur vedendo il Sacramento del Corpo di Cristo consacrato sull’altare, non vedono né credono che esso è veramente il SS. Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo, sono dannati».

Cosí parlava il vero san Francesco d’Assisi. Mi pare che i suoi estimatori eterodossi e anticlericali, laicisti e antigerarchici non abbiano qui nulla da far valere a favore delle proprie posizioni interpretative. Per altre ragioni, anche i cristiani più ortodossi non hanno motivo di sbandierare Francesco come simbolo di una fede cristiana sempre pronta ad assolvere e a riconciliare, a perdonare e a dimenticare persino i peccati di quanti, tra i non credenti e gli stessi credenti, continuino a trafiggere il Cristo con pratiche di vita sino alla fine ipocrite o antitetiche al senso del suo sacrificio.