Il Magnificat tra Maria e noi

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Diceva papa Benedetto XVI il 31 maggio del 2012: «Il Magnificat è il canto di lode che sale dall’umanità redenta dalla divina misericordia, sale da tutto il popolo di Dio; in pari tempo è l’inno che denuncia l’illusione di coloro che si credono signori della storia e arbitri del loro destino» (Benedetto XVI, Maria ha posto Dio al centro della propria vita, in “Zenit” dell’1 giugno 2012). Il Magnificat cantato da Maria è il canto di lode che viene innalzato al Signore dall’umanità stessa consapevole di essere stata redenta misericordiosamente da Dio e che si mostra certa del fatto che la giustizia divina sia antitetica al desiderio di potere e di ricchezza di tutti coloro che fondano la loro vita, al di là di quel che dicono e della fede che professano, su questi due idoli.

Il Magnificat non potrà mai essere il canto di chi ama il potere e la ricchezza, e quindi la possibilità stessa di essere “signori” tra e su gente comune, ma solo di chi, pur disponendo di determinati beni materiali e spirituali, non li usi per ingrandire se stesso ma, nel nome della fede in Dio-Cristo, per potenziare umilmente e non chiassosamente la dignità e la libertà altrui, per mettere a disposizione della comunità o dell’umanità risorse di liberazione economica e di emancipazione morale e politica. Proprio come Maria, la quale «ha posto Dio al centro della propria vita, si è abbandonata fiduciosa alla sua volontà, in atteggiamento di umile docilità al suo disegno d’amore. A motivo di questa sua povertà di spirito e umiltà di cuore, è stata scelta per essere il tempio che porta in sé il Verbo, il Dio fatto uomo. Di Lei, pertanto, è figura la “Figlia di Sion” che il profeta Sofonia invita a rallegrarsi, a esultare di gioia (cfr Sof 3,14)».

Abbandonarsi fiduciosi come Maria alla volontà di Dio comporta la volontà e la capacità spirituale di ripetersi in ogni momento che non siamo niente, che quel poco che riusciamo ad essere al servizio di fratelli bisognosi o oppressi lo dobbiamo esclusivamente alla grazia di Dio, che il desiderio di Dio solo illusoriamente può coesistere con il desiderio conscio o inconscio del potere e della ricchezza, che la professione di umiltà è incompatibile con un modo di essere e di agire borioso e superbo, che la nostra stessa fede in Dio non ha alcun valore se ci comportiamo come se Dio non esistesse e come se Cristo non avesse fatto abbastanza per evitare che noi equivocassimo il suo messaggio di salvezza.

Abbandonarsi alla volontà di Dio come Maria significa pensare, pregare, operare, come se Dio fosse fisicamente presente davanti o accanto a noi in ogni istante della nostra vita. Solo se il nostro abbandono a Dio è sincero, è onesto, è leale, è costante, univoco, appassionato, incondizionato, noi potremo essere scelti, come lo fu Maria, per essere a nostra volta «il tempio che porta in sé», nel nostro cuore e nel nostro spirito oltre che nella nostra stessa carne, «il Verbo, il Dio fatto uomo».

Come diceva ancora il papa alla fine di maggio dello scorso anno,    «tutti abbiamo sempre da imparare dalla nostra Madre celeste: la sua fede ci invita a guardare al di là delle apparenze e a credere fermamente che le difficoltà quotidiane preparano una primavera che è già iniziata in Cristo Risorto. Al Cuore Immacolato di Maria vogliamo attingere questa sera con rinnovata fiducia per lasciarci contagiare dalla sua gioia, che trova la sorgente più profonda nel Signore. La gioia, frutto dello Spirito Santo, è distintivo fondamentale del cristiano: essa si fonda sulla speranza in Dio, trae forza dalla preghiera incessante, permette di affrontare con serenità le tribolazioni. San Paolo ci ricorda: “Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera” (Rm 12, 12)».

Potremo commettere errori di valutazione e indulgere talvolta a qualche illusione di natura temporale o politica, potremo sentirci oppressi da fatti negativi o traumatici della nostra esistenza, potremo scoprirci personalmente esposti alla collera e alla mormorazione, potremo sperimentare strada facendo di essere ancora dolorosamente condizionati dalla nostra carnalità e potremo cedere ad allettanti sollecitazioni del peccato, ma se vorremo continuare ad essere risolutamente «lieti nella speranza», fiduciosamente «costanti nella tribolazione», sinceramente «perseveranti nella preghiera», saremo in compagnia di Maria e insieme a lei potremo cantare il nostro Magnificat per l’eternità.

Con Maria e grazie a Maria già ora possiamo render lode a Dio, magnificarlo ovvero riconoscere e celebrare la sua infinita grandezza che lo porta ad occuparsi proprio di ognuno di noi come se ognuno di noi fosse unico ai suoi occhi; possiamo magnificarlo perché, nonostante le continue cadute, ci consente di rialzarci e seguire le sue orme; perché non ci fa mancare sollecitazioni e provocazioni di vario genere che ci costringono ad aver sempre coscienza dei nostri limiti e bisogno di lui; perché fa in modo che le umiliazioni quotidiane che subiamo non ci impediscano di annunciare il suo Regno e di infondere serenità e speranza nel cuore di alcuni nostri fratelli e sorelle particolarmente provati; perché Egli è sempre pronto a neutralizzare o a cancellare le nostre paure, a perdonare le nostre debolezze e meschinità, a darci la forza di voler essere più onesti di quello che siamo e di essere utili malgrado la nostra inutilità; perché non si stanca mai di chiamarci alla sua via, alla sua verità, alla sua vita per farci vivere felici nella sua perfetta e santa giustizia.

Come Maria già ora possiamo magnificare il Signore perché ci concede tante grazie e tante gioie cui non avremmo diritto; perché pensa a come ristorarci adeguatamente per le nostre sconfitte, le nostre sofferenze e i nostri lutti, dal momento che, come scrive Manzoni, «Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande».

Ognuno di noi può e deve cantare il suo Magnificat, il suo atto di fede sempre e comunque in Dio, ben sapendo che, per usare le parole di papa Luciani, «posso essere anche una scarpa rotta, ma se ho Dio posso fare grandi cose».