Lutero e la riforma permanente della Chiesa

Scritto da Francesco di Maria.

 

Riabilitare oggi Lutero da un punto di vista cattolico, sia pure semplicemente su un piano mediatico, significa chiudere gli occhi sulla verità storica, che è quella per cui il riformatore tedesco non solo ha inteso distruggere i principali dogmi della Chiesa universale disconoscendone altresì quell’autorità petrina istituita da Gesù come condizione insuperabile dell’unità dottrinale e pastorale della Chiesa stessa, ma ha anche e soprattutto alterato il rapporto di reciproca autonomia tra fede e politica trasferendo e riconoscendo al potere politico, e più esattamente ai principi tedeschi, il diritto di esercitare un controllo capillare sulla realtà religiosa e ponendo le basi, da una parte, per le sanguinose guerre di religione nel corso del ’500-’600, e dall’altra per la nascita di quei nazionalismi moderni che avrebbero trovato poi la loro forma più esasperata e il loro apice più drammatico nel nazionalismo tedesco e nazista del XX secolo.  

Forse è vero che Lutero, come dice papa Francesco, ha rappresentato “una medicina” per la Chiesa, in quanto nella Chiesa del primo cinquecento «c'era corruzione, c'era mondanità, c'era attaccamento ai soldi e al potere. E per questo lui ha protestato. Poi era intelligente, e ha fatto un passo avanti giustificando il perché faceva questo sulla dottrina della giustificazione: su questo punto tanto importante lui non aveva sbagliato».

A dire il vero non è affatto certo che, quali che siano stati negli ultimi decenni i progressi teologici del rapporto-confronto tra cattolici e luterani, sulla giustificazione Lutero abbia visto bene. Sembrerebbe anzi che non abbia visto bene per niente, anche se i teologi cattolici oggi si affannano a precisare che le “buone opere” sono pur sempre un “dono” di Dio e dunque non inciderebbero sulla giustificazione e sulla stessa salvezza eterna degli uomini.

Ma, in realtà, il Signore giustifica le sue creature, cioè li rende giusti, anche per la loro libera scelta di operare il bene, di convertirsi a Cristo. La grazia di Dio, per quanto grande sia o possa essere, non annulla mai completamente la libertà e la responsabilità dell’uomo, sí che questi, pur dipendendo in tutto e per tutto dal suo Creatore, non è mai un automa i cui atti non possano essere interamente attribuiti alla sua libertà e volontà di scelta, ma un soggetto su cui Dio interviene continuamente con la sua grazia ma solo per consentirgli di compiere delle opere buone, che però potrebbe anche non voler compiere, e di acquisire cosí dei meriti, che Dio vuole possano essere acquisiti dagli uomini, e meriti concorrenti al conseguimento della salvezza. Dio elargisce ad ognuno doni di fede, di carità e di sapienza particolari affinché ogni singolo essere umano abbia la concreta possibilità di conformare, sia pure tra errori e difficoltà di vario genere, la sua umana volontà a quella di Dio, ma è evidente poi che la volontà personale non venga sottomettendosi meccanicamente alla volontà divina, anche se per l’appunto la grazia divina accompagna sempre i possibili o reali percorsi individuali di piena conversione spirituale a Cristo.

Per Lutero l’uomo non è beneficiario ma vittima e succube dell’onnipotenza divina. Giuda tradisce Cristo e Adamo si rivolta contro l’ordine divino semplicemente perché questa era l’onnipotente volontà divina. La volontà di Giuda era letteralmente soggiogata dalla volontà di Dio, cosí come quella di Adamo era mossa irrefrenabilmente dal disegno divino di costringere l’uomo a peccare e a ribellarsi a Dio affinché poi Dio stesso potesse salvare l’umanità attraverso il sacrificio del suo Cristo. Che è come dire: l’uomo è come è, nel bene o nel male, solo perché rigidamente predestinato in un senso o nell’altro dalla imperscrutabile onnipotenza divina (Franz Funck Brentanno, Luther, Parigi, Grasset, 1934, pp. 29-39). Potrebbe esistere un pensiero più distorto e meno cristiano di questo?

Forse il papa, che appare cosí indulgente verso il monaco tedesco, sottintende un ragionamento di Lutero, quello per cui, siccome la Chiesa cinquecentesca è corrotta ed oltremodo venale, è del tutto doveroso chiarire che la salvezza si conquista solo per via di fede e non di opere buone, il più delle volte consistenti nel versamento di cospicue somme di denaro per comprare le indulgenze e la stessa salvezza dell’anima. Ma, in realtà, Lutero sguazzò nella corruzione della Chiesa non già per dare un suo umile contributo alla purificazione e al rinnovamento della comunità ecclesiale cristiana e delle stesse gerarchie ecclesiastiche, quanto per rompere deliberatamente l’unità della Chiesa mettendo radicalmente in discussione il primato spirituale di Pietro e di Roma, trasferendo nelle mani dei principi teutonici tutti i beni ecclesiastici e conferendo alla Germania la missione storica di porsi alla testa del progresso spirituale di tutta l’umanità. Queste furono le vere intenzioni di Lutero e non quelle abbastanza edulcorate di cui parla oggi il papa.

Anche a voler prescindere dalla profonda ed erronea revisione luterana dei sacramenti cristiano-cattolici (si pensi al tema dell’eucaristia o a quello del sacerdozio e della riconciliazione), che costituisce tuttavia un aspetto centrale della stessa eresia luterana, è difficile, per non dire impossibile, definire “medicinali” e terapeutiche le seguenti espressioni del riformatore tedesco: «Quando la messa sarà distrutta, penso che avremo rovesciato con essa tutto il papismo. Il papismo infatti poggia sulla messa come su una roccia, tutto intero con i suoi monasteri, vescovadi, collegi, altari, ministeri e dottrine, in una parola con tutta la sua pancia. Tutto ciò crollerà necessariamente, quando sarà crollata la loro messa sacrilega e abominevole» e ancora: «Bisognerebbe arrestare il Papa, i cardinali e tutta la plebaglia che lo idolatra e lo santifica, arrestarli come bestemmiatori, e strappare loro la lingua fin dal fondo della gola e inchiodarli tutti in fila alla forca» (Martin Lutero, "Contra Henricum, Regem Angliae", 1522, Wittemberg, Werke, t. X, p. 220).

D’altra parte, la stessa vocazione religiosa di Lutero fu sempre molto incerta e problematica, perché, come si apprende dalle sue biografie più accreditate, egli era entrato nell’Ordine agostiniano solo perché, essendo latitante e braccato dalle autorità, potesse sfuggire alla cattura. Infatti, accadde una volta che, ancora studente all’Università di Erfurt, litigasse con un giovane “collega”, Gerome Bluntz, uccidendolo. Fu allora che decise di entrare nel monastero degli agostiniani. E’ lo stesso Lutero che ricorda cosí la circostanza:  «Mi sono fatto monaco perché non mi potessero prendere. Se non lo avessi fatto, sarei stato arrestato. Ma così fu impossibile, visto che l’ordine agostiniano mi proteggeva» (Dietrich Emme, Warum ging Luther ins Kloster? In Theologishes, 1984, pp. 6188-6192).

Ma è tutta la psicologia luterana che risulta essere oltremodo inquietante sulla base delle stesse ammissioni del monaco tedesco. Tra il 1516 e il 1529, questi scrive cose incredibilmente gravi ma forse trascurate dal pontefice o a lui sconosciute: «Raramente ho il tempo di pregare..e di celebrare la Messa, perché sono succube delle tentazioni della carne, del mondo e del diavolo»: «confesso che la mia vita è sempre più prossima all’inferno. Giorno dopo giorno divento più abietto» (W.M.L. de Wette, Luther, M., Briefe, Sendshreiben und Bedenken vollstandig Gesammelt, Berlino, 1825-1828,  I, p. 41 e p. 323). E poi: «Avrei voluto essere un monaco sinceramente pio, ma al contrario sono sprofondato sempre di più nel vizio. Sono stato un grande furfante ed un omicida» (Emme, Warum ging Luther ins Kloster?, cit., dove viene citato il documento originale: Wa W, 29, 50, 18).

Questa era la struttura psicologica, mentale e spirituale di Martin Lutero e si direbbe una struttura alquanto debole, deficitaria, completamente in balìa degli istinti e di pulsioni distruttive. Egli era un vero e proprio psicopatico, con frequenti crisi nervose, allucinazioni deliranti e vistosissimi segni di squilibrio mentale. Era ossessionato dal peccato e dall’inferno, anche perché non confidava molto nella misericordia di Dio che percepiva come un “tiranno”, come un giudice implacabile e spietato. Il crocifisso, lungi dall’infondergli un senso di pace, gli incuteva paura, terrore, sino al punto di procurargli forti convulsioni che lo facevano cadere in terra. Si sentiva dominato da Satana, con il compiacimento stesso di Cristo, e quindi predestinato all’eterna dannazione. Ecco perché, scriveva, «Dio non è che uno scellerato. L’idea della predestinazione cancella in me il Laudate, è un blasphemate che mi viene allo spirito» (Franz Funck Brentanno, Luther, cit., p. 53).

Bestemmiatore incallito, libidinoso, pigro e indolente, questo è il resto del suo stesso autoritratto, come emerge chiaramente anche da una lettera del 13 giugno 1521 scritta al suo amico ed allievo Melantone. Era altresí orgoglioso e arrogante e infine ralmente esaltato da identificarsi con Dio. Si definiva infatti «l'uomo della Provvidenza, chiamato per illuminare la Chiesa con un grande bagliore…Chi non crede con la mia fede è destinato all'infernoLa mia dottrina e la dottrina di Dio sono la stessa cosa. Il mio giudizio è il giudizio di Dio» (Martin Luther, Werke, ed. di Weimar, 1883, X, 2, Abt. 107). Peraltro, sotto il profilo teologico, la sua teoria della giustificazione per sola fede presentava aspetti ed implicazioni aberranti, perché, se è sufficiente aver fede nel fatto che siamo già salvati, allora possiamo vivere tranquillamente nel peccato senza rimorsi di coscienza e senza timore della giustizia divina. Ho fatto del male? Va bene. Mi dispiace, mi pento intimamente ma non sacramentalmente, dopodiché, siccome Dio fa quel che vuole a prescindere da quel che faccio o non faccio, e mi salva o mi condanna in modo del tutto discrezionale e arbitrario, è perfettamente inutile che io mi dia tanta pena per i miei peccati:  «Anche se ho fatto del male, non importa. Cristo ha sofferto per me. A questo si riduce il cristianesimo. Dobbiamo sentire che non abbiamo peccato, anche quando abbiamo peccato» (Ibid., XXV, 331).

Anzi, per rafforzare la nostra fede, dobbiamo peccare sempre di più, perché solo scendendo nell’abisso della nostra miseria, possiamo desiderare veramente di essere salvati da Cristo. Come scrive ancora a Melantone in una lettera dell’1 agosto del 1521: «Esto peccator et pecca fortiter, Sii peccatore e fortemente pecca, ma con ancora maggiore fermezza credi e rallegrati in Cristo…Durante questa vita dobbiamo peccare» (W.M.L. de Wette, Luther, M., Briefe, Sendshreiben und Bedenken vollstandig Gesammelt, Berlino, 1825-1828, cit., II, p. 37)

Ora, questo povero pazzo, secondo Francesco, avrebbe svolto una funzione terapeutica nella storia della stessa Chiesa cattolica, e il suo “scisma” ha meritato di essere recentemente commemorato in Svezia! Né Lutero, a detta di Francesco, Non avrei mai immaginato che, nel corso della mia vita, potessi sentirmi costretto a contestare un papa cattolico su una questione cosí elementare e scontata come la macroscopica e ingiustificata eresia luterana. Si sarebbe potuta capire una ribellione persino infuocata contro una Chiesa cattolica corrotta e dissoluta come fu quella del primo Cinquecento, non certo una ribellione che dovesse avere necessariamente come epilogo una sacrilega eresia ai danni dell’originario e salvifico messaggio evangelico preservato in modo ispirato e sostanzialmente corretto dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa stessa di Cristo. Ma sta di fatto che, per il nostro papa, i luterani, come tanti altri non cattolici, non meritavano e non meritano di essere “puniti”, in quanto «Nel giorno del Giudizio non ti sarà chiesto se sei andato a Messa […] ma se la tua vita l’avrai usata per fare muri o per servire […] Tutti noi battezzati, luterani e cattolici, siamo in questa scelta: il servizio, l’essere servo» (in “Vatican Insider” del 15 novembre 2015, a cura di  D. Agasso Jr.). Se meritino o non meritino di essere “puniti” e in che misura lo stabilirà in modo insindacabile solo Dio. Quanto però al “fare muri” o al “servire”, temo ancora una volta di percepire come problematici i verbi, le parole, le espressioni qui usate disinvoltamente dal papa.

Perdonami, papa Francesco, ma la coscienza mi sta gridando che hai le idee decisamente confuse e stai compiendo atti clamorosamente nocivi alla Chiesa che tu sei stato chiamato a guidare. Fra l’altro, non solo in senso teologico ed ecclesiale, ma anche in senso storico-politico l’opera di Martin Lutero, a parte forse il duplice merito di aver favorito involontariamente una diffusione non più èlitaria ma capillarmente popolare della conoscenza della Bibbia e di aver indotto la Chiesa cattolica a rinnovarsi profondamente attraverso la creazione di quei numerosi “ordini religiosi” che avrebbero molto ridotto le distanze tra i vertici ecclesiastici e le masse popolari, risulta essere regressiva e assolutamente retriva: si pensi al disprezzo che il monaco tedesco nutriva per le classi popolari e per i contadini tedeschi in particolare e, al contrario, alla sua ammirazione interessata per i grandi principi tedeschi che egli avrebbe esortato a infilzare e a trafiggere con la spada i vili e rozzi contadini, colpevoli di reclamare un’eguaglianza del tutto immeritata e al di fuori della loro portata; e si pensi anche e soprattutto alle sue malvage accuse contro gli ebrei le quali in Germania avrebbero lasciato tracce purtroppo indelebili

E’ ben vero che Ecclesia semper reformanda, ma riformare non significa alterare o distruggere, bensí semmai restituire la realtà religiosa considerata, il cristianesimo, alla sua forma originaria, al suo originale e glorioso splendore. Lutero non è mai stato indispensabile per la riforma della nostra Chiesa, anche se il Padre ha permesso che fosse lui un agente occasionale di riforma.

E cosí anche l’ecumenismo, per quanto grande possa essere il suo significato spirituale e religioso, deve essere praticato con grande attenzione e con la massima prudenza, pena il rischio che esso serva a favorire solo delle ammucchiate propagandistiche e prive di senso umano, ecclesiale e religioso. E’ ben chiaro l’intento di Francesco: impegnarsi concretamente per superare certe antiche divisioni storiche nel corpo della cristianità, ma il problema è che l’unità va cercata sempre e soltanto nella verità e non in comportamenti ambigui e omissivi che non possono non generare alla lunga complicazioni ancora più gravi di quelli che si riteneva di poter superare. Gesù ci ha insegnato ad essere sempre indulgenti con i peccatori, anche ove sia necessario adottare nei loro confronti misure severe o volte a salvaguardare l’integrità spirituale della comunità religiosa, ma al tempo stesso ci ha insegnato a non venire mai a patti con l’errore manifesto da qualunque parte esso provenga. E i luterani, come gli ebrei, come gli islamici, come gli atei di tutto il mondo, in quanto tali, versano in una condizione di errore conclamato.

Tuttavia, se queste critiche, pur sempre caritatevoli e filiali nelle intenzioni, dovessero un giorno rivelarsi ingiuste o eccessive, non potrei che confidare una volta di più nel perdono di nostro Signore. Certo è però che la riforma permanente della Chiesa di Cristo non ha proprio bisogno di certi “Machiavelli della fede”, secondo la definizione che di Martin Lutero avrebbe dato il filosofo Tommaso Campanella.