La misericordia di Dio secondo Maria

Scritto da Francesco di Maria on . Postato in I miei scritti mariani

 

Chi più di Maria ha potuto conoscere e sperimentare la misericordia di Dio? Chi più di lei potrebbe pretendere di sapere cosa sia esattamente e in che cosa realmente consista la misericordia di Dio? La domanda è retorica, ma fino ad un certo punto, perché se non sussiste dubbio circa il fatto che non un solo cristiano-cattolico avrebbe difficoltà ad indicare in lei la madre della misericordia divina e quindi a sua volta dispensatrice di grazie per l’incommensurabile grazia ricevuta dal suo Signore, non tutti i credenti cattolici, tuttavia, mostrano di avere della misericordia divina la stessa concezione che ne ebbe e continua ad averne la ragazza di Nazaret e di parlarne con lo stesso rispetto religioso con cui ella sapeva e voleva parlarne.   

Infatti, lo schema oggi prevalente di ragionamento, relativo a questo tema, è il seguente: Dio è amore, l’essenza della divinità è nel suo essere sempre e comunque amore, l’amore divino è viscerale, infinito e incondizionato, il nome stesso di Dio è unico e inequivocabile ovvero perdono misericordioso, per cui nessuno, sia tra quelli che credono sia tra quelli che non credono, sia tra i cattolici sia tra i seguaci di altre confessioni religiose, deve mai sentirsene escluso, anche se il bene e il male non siano sempre e da tutti percepiti nello stesso modo ma secondo la coscienza personale e il vissuto esistenziale di ognuno. Le distinzioni o le differenze dottrinarie contano fino ad un certo punto, perché la fede in Cristo è prassi  molto più che teoria e teologia ed è ortoprassi più che ortodossia, perché nell’amore praticato, nell’amore del perdono e dell’accoglienza, nell’amore universale che non alza né muri né steccati, nell’amore evangelico che non fa differenze di sorta, piuttosto che in un amore astratto, teorizzato, categorizzato, sia pure secondo canoni spirituali e teologici biblico-evangelici ispirati e largamente accreditati, viene soprattutto manifestandosi e concretizzandosi il senso dell’opera redentiva di Dio.

Cristo non è venuto per giudicare ma per salvare; dunque nessuno deve disperare di essere salvato quali che siano le sue tendenze, le sue credenze, la sua spiritualità, la sua religiosità. L’importante è amare, donarsi, essere pronti a riconciliarsi, non certo il disquisire rigidamente sulle verità della fede, sui suoi dogmi e sui limiti di applicabilità dei suoi sacramenti. Guai poi a parlare di castigo o castighi divini, di punizioni e condanne divine, che servono solo a spaventare la gente e ad allontanarla ulteriormente dalla fede e da Cristo. Insomma, secondo questo modo di presentare la fede nella divina misericordia, sembrerebbe che Dio sia quasi obbligato o costretto a perdonare e ad elargire grazia e misericordia, qualunque cosa succeda e quali che siano i comportamenti singoli e collettivi. Si comprende come, in un’ottica interpretativa di questo tipo e al di là delle intenzioni che vi sono sottese, possa darsi facilmente luogo ad un Dio manipolato e manipolabile più che al Dio originale e integrale che ci viene trasmesso dalle Sacre Scritture, dalla Tradizione, dal Magistero dei papi e dallo stesso sensus fidei.

Ma, ci si può chiedere, è cosí, è con questa leggerezza o disinvoltura spirituale, con questa religiosità “politicamente corretta” che Maria percepiva l’amore di Dio, il perdono di Dio, la misericordia di Dio, o piuttosto, a base della sua personale e amorevole condotta di vita, non poneva una rappresentazione ben precisa e ben più rigorosa, biblicamente severa e disciplinata, dell’identità divina e del modo divino di agire nella vita e nella storia degli uomini?

Il Dio di Maria non era certo un Dio dogmatico, un Dio di cui si sappia con precisione scientifica ogni dettaglio e ogni più recondito aspetto della sua volontà, e tuttavia era un Dio che, nel corso della storia del popolo di Israele, si era sempre chiaramente manifestato come un Dio onnipotente, come un Dio di conseguenza equanimemente capace di elargire giustizia non meno che misericordia, e come un Dio sovranamente libero di distribuire castighi e premi, tormenti e consolazioni, non solo nell’altro mondo ma già in questo mondo terreno. Il Dio di Maria non era un Dio indifferente al bene e al male e alle rappresentazioni umane del bene e del male, perché era un Dio che aveva fatto sapere al genere umano cosa fosse lecito o illecito, che aveva lasciato a tutti i suoi comandamenti con l’avvertimento che vivere contro di essi senza mai avvertire il bisogno di un sincero e profondo ravvedimento interiore avrebbe comportato un giudizio divino di condanna e l’eterna perdizione.

Certo, Maria magnifica il Signore ed esulta in lui, nel suo salvatore, perché egli è stato talmente misericordioso da riconoscere nell’apparente insignificanza umana, sociale ed economica della giovane nazarena, e quindi nella sua condizione oggettivamente umile, i segni di una effettiva grandezza umana e spirituale, di una non volubile o non discontinua fedeltà al volere divino, di una totale adesione esistenziale ai piani salvifici di Dio. Maria magnifica, canta, loda il Signore misericordioso, ma un Dio misericordioso la cui misericordia, recita il Magnificat, “di generazione in generazione si stende su quelli che lo temono”, cioè su quelli che lo prendono sul serio e prendono sul serio i suoi comandamenti come anche le inevitabili pene da lui promesse per tutti coloro che li avessero ignorati o trasgrediti senza mai sforzarsi di convertirsi a nuova vita.

Temere Dio significava per Maria non rispettarlo genericamente, non amarlo vagamente in senso ideale o sentimentale, né postularlo in termini stancamente liturgici o astrattamente filosofici, ma avvertirne la reale e sovrana presenza nelle vicende quotidiane di individui e popoli, preoccuparsi di pensare e vivere secondo la sua verità e non secondo verità umane, obbedire ai suoi comandamenti e alla sua volontà nel miglior modo possibile per non rischiare di separarsi dalla sua grazia e dalla sua misericordia e di avviarsi sia verso l’eterna perdizione sia verso quei possibili castighi anche terreni che egli avrebbe potuto e può sempre decretare.

Maria non rischiò mai di equivocare o di percepire unilateralmente il senso o lo spirito dell’amore divino, perché ella venne modellando i suoi pensieri, la sua affettività e le sue azioni sulla verità di Dio, sulla complessiva legislazione divina cosí come, per mezzo delle Scritture, era venuta gradualmente palesandosi e precisandosi nel corso del tempo; su quella legge divina cui Gesù avrebbe impresso il sigillo di una sofferta e definitiva compiutezza. In tal senso, cogliendo di Dio tanto la dimensione misteriosa e maestosa quanto la particolare vicinanza alle umane creature, Maria non credette che il Signore si potesse etichettare in base a desideri o aspettative esclusivamente umane di qualunque genere e che pertanto egli non potesse essere visto né come un semplice giustiziere né come un consolatore sempre e comunque bonario e indulgente. Per riportarci a certe espressioni oggi adoperate sotto il pontificato di Francesco, è molto improbabile che per la madre di Gesù il nome di Dio potesse essere riduttivamente quello di “misericordia” e non anche quello duplice e ugualmente importante di “verità” e “giustizia”.

Per questo, inoltre, il suo Magnificat da una parte è in linea con il meglio espresso dall’Antico Testamento e dall’altra anticipa caratteristici temi evangelici. Quando Maria dice che Dio spiega la potenza del suo braccio, ella non ravvisa alcun rapporto di incompatibilità tra misericordia divina e facoltà divina di usare le maniere forti, per esempio nei confronti di peccatori impenitenti o di peccatori convertiti ancora bisognosi di essere salvificamente “potati” o di situazioni storiche e umane particolarmente inique, fermo restando che, anche là dove a rimetterci e a rimanere vittime di certi castighi divini siano talvolta persone comunemente considerate “innocenti”, non sarebbe lecito contestare Dio per il semplice fatto che non è dato conoscere ogni singola modalità della volontà divina come della stessa economia della salvezza. Maria conosceva il racconto biblico di Giobbe e non si sarebbe mai azzardata a giudicare l’operato di Dio: per questo la si trova addolorata, logorata, forse persino disperata sotto la croce, ma non piegata, non vinta, non dominata né dalla disperazione né da un moto di sopraggiunta incredulità.

Il Signore, che resta eternamente fedele alla parola data e quindi alla sua verità, in virtù della sua misericordia, mai disgiunta dalla sua giustizia,  agisce a favore di coloro che cercano di vivere alla luce dei suoi insegnamenti, dei “giusti” che si rialzano dopo ogni “caduta” per continuare in santità il cammino, degli oppressi che implorano continuamente il suo nome, dei peccatori che si convertono sinceramente a lui, mentre, in virtù della sua giustizia, mai disgiunta dalla sua misericordia, agisce in opposizione ai “superbi” di qualunque genere e di qualunque estrazione sociale e professionale, ai “potenti” indipendentemente dalle specifiche forme di potere che possano esercitare in modo arbitrario e iniquo, ai “ricchi” che vivono unicamente o prevalentemente per se stessi e non anche per gli altri e le altrui necessità.

Il Dio di Maria, in sostanza, è un Dio esigente di verità e giustizia e, al tempo stesso, un Dio visceralmente portato a “ricordarsi della sua misericordia”, secondo l’espressione mariana del Magnificat. E lei stessa, Maria, Madre di Dio, giustamente conosciuta e invocata come Madre della misericordia, non può non essere altrettanto giustamente venerata come Madre della verità e della giustizia. La sua fede in Dio non fu una fede melliflua e indiscriminatamente pacificatrice ma schietta e verace, non fu intrisa di generico umanitarismo ma di un più vigoroso e maturo senso etico e spirituale di umanità e umana dignità, non fu aperta ad ogni possibile forma di ecumenismo ma solo ad un ecumenismo centrato sulla verità e quindi sulla Parola del suo Dio e del suo Cristo, non fu meramente “privata” ma anche “pubblica”, né infine fu una fede caratterizzata da un’attitudine a perdonare per opportunità, convenienza o semplice vigliaccheria, e a concedere ospitalità ed accoglienza ad empi conclamati e ad ipocriti recidivi e impenitenti.

Questo Dio mariano è l’unico Dio che almeno i cattolici hanno l’inderogabile dovere di adorare. Sforziamoci tutti, con l’aiuto della Santissima Vergine Maria, di non complicare e di non semplificare troppo la nostra fede, dicendo e disdicendo o semplicemente adoperando un linguaggio non sempre controllato e perciò suscettibile di apparire scandalosamente ambiguo e contraddittorio.