Sul presente e sul futuro dei laici nella Chiesa di Cristo

Scritto da Lucio Torre on . Postato in Compagni di viaggio, articoli e studi

 

Il papa ha ripetuto il 26 maggio scorso che la Chiesa ha bisogno dell’amore e dell’aiuto di tutti ma chiamando questa volta i laici a passare da una presenza attiva di “collaborazione” ad una presenza attiva di “corresponsabilità” con le stesse strutture gerarchiche della Chiesa, e si è chiesto: «in che misura viene riconosciuta e favorita la corresponsabilità pastorale di tutti, particolarmente dei laici?», aggiungendo: «nei secoli passati, grazie alla generosa testimonianza di tanti battezzati che hanno speso la vita per educare alla fede le nuove generazioni, per curare gli ammalati e soccorrere i poveri, la comunità cristiana ha annunciato il Vangelo agli abitanti di Roma. Questa stessa missione è affidata a noi oggi, in situazioni diverse, in una città dove non pochi battezzati hanno smarrito la via della Chiesa e quelli che non sono cristiani non conoscono la bellezza della nostra fede» (I laici nella Chiesa dalla collaborazione alla corresponsabilità, in L’Osservatore Romano, 28 maggio 2009).  

Dio si è acquistato in Cristo il suo popolo perché esso nella sua interezza ne proclamasse “le opere meravigliose” e tutti i suoi membri, nessuno escluso, ne rendessero grande e palpabile la presenza tra gli uomini. Oggi, però, pare che siano ancora pochi i laici che, «pur professandosi cattolici», siano disponibili a «lavorare nei diversi campi apostolici». Perché il cammino riprenda quali vie allora si possono percorrere? Il papa risponde in primis: una migliore formazione spirituale ed ecclesiale tanto per laici che per sacerdoti. Il che significa che bisogna «capire sempre meglio che cosa è questa Chiesa, questo Popolo di Dio nel Corpo di Cristo»,  che cosa esige veramente e in che modo se ne devono riproporre o rilanciare oggi le primarie finalità escatologiche e soteriologiche. In questo senso, precisamente, è necessario «un cambiamento di mentalità riguardante particolarmente i laici, passando dal considerarli "collaboratori" del clero a riconoscerli realmente "corresponsabili" dell'essere e dell'agire della Chiesa, favorendo il consolidarsi di un laicato maturo ed impegnato», dove beninteso «tale coscienza comune di tutti i battezzati di essere Chiesa non diminuisce la responsabilità dei parroci. Tocca proprio a voi, cari parroci, promuovere la crescita spirituale e apostolica di quanti sono già assidui e impegnati nelle parrocchie:  essi sono il nucleo della comunità che farà da fermento per gli altri».

Senonché, non è molto chiaro se, nell’esprimersi in questi termini, il papa dia per scontato che la maggior parte dei sacerdoti siano già realmente attenti e interessati a valorizzare il popolo di Dio, nelle comunità e nelle parrocchie, cercando di favorirne ed esaltarne i molteplici carismi in una logica di verità e di giustizia evangeliche, e quindi non grettamente personalistica e particolaristica, oppure se in effetti abbia inteso spronarli a modificare un certo atteggiamento spirituale volto tra essi più alla ricerca di inservienti utili alle piccole necessità pratiche e amicali giornaliere della parrocchia che alla ricerca di talenti effettivi pronti a lavorare, ognuno secondo le proprie possibilità e capacità, per più importanti e vitali necessità spirituali del regno di Dio.

Purtroppo, dopo il Concilio Vaticano II, il rapporto tra clero e laici è andato un po’ complicandosi, perché da una parte i laici hanno cominciato a rivendicare con risentita insistenza una loro maggiore e qualificata partecipazione alla vita liturgica, pastorale e teologica della Chiesa, sino quasi a dare l’impressione di voler aggredire il clero e volerne limitare certi tradizionali poteri apostolici, e dall’altra il clero è risultato piuttosto sensibile a questa pressione o nel senso di cedere troppo spazio a iniziative laiche non necessariamente profetiche e lungimiranti o nel senso di trincerarsi in un riserbo psicologico e magisteriale tanto orgoglioso e sospettoso quanto spesso improduttivo e inefficace. Non si può dire francamente che negli ultimi decenni questo rapporto si sia ricomposto su nuove e proficue basi di  intesa e di collaborazione, se non in forme occasionali e frammentarie, e dunque ancora una volta bisogna chiedersi che fare perché questo rapporto torni ad essere rapporto fiducioso di vera collaborazione e vera corresponsabilità. Come fare a superare concretamente il sospetto, la diffidenza, le rivalità, le gelosie, l’individualismo saccente e incolto di chi, sia egli laico o chierico, tiene più al culto del proprio io che al servizio di Dio? Come fare a vivere ancora in quel genuino spirito di carità che, come ricorda il papa, animava i cristiani dei primi secoli e che sarebbe stato il motivo principale del successo storico del cristianesimo?

Commentando l’esortazione apostolica postsinodale del 30 dicembre 1988 di Giovanni Paolo II, la Christifideles laici, il prof. avv. Guzmán Carriquiry Lecour (La nuova stagione aggregativa dei fedeli laici alla luce dell’esortazione apostolica postsinodale “Christifideles laici”, 28 marzo 2009 presso Università Gregoriana di Roma), ha scritto: «Non sono stati i laici i protagonisti principali dei diversi movimenti monacali del primo millennio cristiano, seguiti da molte esperienze di “vita apostolica” tra loro? Abbiamo ancora le testimonianze dei terzi ordini “secolari”, che affondano le loro radici al basso Medioevo Poi si aggiungeranno gli “oratori”, le “congregazioni mariane”, diverse esperienze associative di donne cristiane e una fitta rete di confraternite laicali». Continuando poi la sua ricostruzione storica, egli ha osservato che, dopo un lungo periodo storico in cui per diverse ragioni economiche e sociali le associazioni in genere ebbero vita difficile sino ad essere perseguitate e alla fine soppresse dal Codice napoleonico, tale fenomeno aggregativo o associativo in ambito secolare ed ecclesiastico riprese a fiorire dopo la metà del secolo XIX, quando tuttavia, a causa del progressivo indebolimento politico della Chiesa, e dell’ondata anticlericale della cultura razionalistico-liberale, degli effetti sconvolgenti della rivoluzione industriale e di nuovi agguerriti movimenti ideologici e sociali, esso dovette modificare profondamente le sue forme e i suoi strumenti di analisi e di partecipazione soprattutto al fine di mobilitare i fedeli laici ben oltre una concezione clericale della fede e della vita religiosa.  Fu allora un pullulare di studi biblici e patristici, di nuovi carismi e gruppi educativi, di società caritative e missionarie, che avrebbe contribuito a rinnovare profondamente  il pensiero politico e sociale e lo stesso pensiero ecclesiale del mondo cattolico, in cui in pochi decenni i fedeli laici sarebbero diventati protagonisti. Per tutta la prima metà del XX secolo lo sviluppo del laicato cattolico non conobbe soste e non fu certo un caso che «il Concilio Vaticano II affermasse il diritto dei fedeli a fondare e a dirigere delle associazioni, fatta salva la dovuta “relazione con l’autorità ecclesiastica”, e mettesse in rilievo “l’importanza delle forme organizzate di apostolato laicale”, come risposta adeguata “alle esigenze umane e cristiane dei fedeli e (…) allo stesso tempo, segno della comunione e dell’unità della Chiesa in Cristo”; e inoltre che raccomandasse di “fortificare la forma associata e organizzata dell’apostolato e che animasse anche lo sviluppo associativo a livello internazionale”».

Certo, non tutto sarebbe sempre andato per il verso giusto: ci sarebbero stati segni di stanchezza e di crisi in non piccola parte dell’associazionismo cattolico, di incomprensione e diffidenza tra laici ed esponenti del clero e delle gerarchie. Nel frattempo però facevano la loro irruzione nella vita e nella scena ecclesiale nuovi movimenti e nuove comunità che avrebbero segnato “la nuova stagione aggregativa” della Chiesa, una stagione piena anche di tensioni e discussioni vivaci ed esasperate. Anche in questo caso non tutto si sarebbe ricomposto pacificamente nel tempo, e, al contrario di quanto ritiene lo stesso relatore cattolico, non si può ritenere indiscutibile che «in questi venti anni dopo la Christifideles laici è venuto più chiaramente in luce che i movimenti e le nuove comunità non sono, né costituiscono, un “blocco” all’interno della Chiesa, né pretendono di essere una corrente definita, articolata e organizzata secondo una comune strategia, e meno ancora una specie di “lobby” per “pesare” nella compagine e nei tessuti ecclesiastici».

 A volte invece si ha l’impressione che tutto questo movimentismo o comunitarismo abbia per fine vero ma non dichiarato la sostanziale separatezza dei singoli gruppi religiosi (e la loro maggiore visibilità statutaria e organizzativa) e per mezzo con cui perseguire efficacemente tale scopo una volontà dichiarata ma non vera o non particolarmente sentita di unità ecclesiale. E ciò, se è vero, alla lunga non può non preoccupare la Chiesa istituzionale e spirituale che tuttavia fatica a difendersi dalle pressioni contrastanti che su essa vengono continuamente esercitate da diverse parti, anche talvolta, sia pure non frontalmente ma lateralmente, su un piano eminentemente teologico e dottrinario.

In corso però è anche un altro fenomeno: quello di molti laici che non si pongono affatto il problema di far parte di qualcuno di quei movimenti, percependo piuttosto l’urgenza storica di una riforma della Chiesa mirata innanzitutto ad una saggia e profonda riqualificazione del clero, anche nel senso che siano individuati e varati strumenti, modi, condizioni e tempi di reclutamento diversi da quelli a tutt’oggi adottati anche se non necessariamente alternativi ma aggiuntivi o integrativi rispetto ad essi. In particolare, questo fronte laico, ritenendo che la priorità centrale del cattolicesimo contemporaneo sia quello di dotare le chiese e, per cosí dire, il suo personale dirigente di un più adeguato numero di interlocutori qualificati e, in primis, di una più ampia e variegata tipologia di sacerdoti senza i quali nessuna attività ecclesiale può sussistere, è sempre più propenso a chiedere alle supreme autorità della Chiesa di accettare e favorire un graduale volontario inserimento di forze laiche, ormai libere da specifici impegni professionali e rigorosamente motivate a conformarsi a Cristo, nell’ordine presbiterale e sacerdotale. Alcuni pensano che in tal modo i laici potrebbero aiutare la Chiesa non solo come suoi “collaboratori” e come suoi “corresponsabili”, e come corresponsabili bisogna anche precisare delle strutture di pensiero e di azione già in essa esistenti, ma come nuovi responsabili insieme ad altri suoi responsabili tradizionali, in un lavoro concordemente diversificato in cui ci sarebbe certamente più filo per tessere insieme una nuova e più robusta tela spirituale ed escatologica della e per la Chiesa di Cristo.

Ai pochi o molti laici che dovessero offrirsi al Signore anche in senso sacramentale-ministeriale dovrebbero essere certo richiesti dei requisiti essenziali: la saldezza della fede in Cristo, la probità intellettuale e morale, l’integrità spirituale, una adeguata preparazione teologica e liturgica. Ma non molto di più: non per esempio una provenienza di origine seminariale e clericale o da percorsi istituzionali obbligati, perché essi, anche attraverso altri ambiti di vita ed altre esperienze umane, culturali e professionali potrebbero aver conseguito una fede ancor più granitica di quella di chi si fa prete frequentando sin da piccolo i seminari. Gesù, come tutti sanno, può chiamare chiunque al sacerdozio: quelli che sono in una curia senza mondo e quelli che sono nel mondo senza curia, quelli che sono inseriti nelle strutture accademiche ed universitarie della Chiesa e quelli che hanno acquisito una formazione religiosa diversa ma altrettanto se non più valida nel corso della loro vita intellettuale e spirituale, quelli che non sono ancora sposati affinché si sposino solo con Lui e quelli che sono già sposati affinché in spirito di purezza possano emblematicamente testimoniare, nel suo nome, che la vera famiglia di ognuno, la prima e l’ultima in senso spirituale e ontologico, non è quella dei rapporti di sangue ma quella basata sui vincoli dello spirito ovvero la grande famiglia di Dio.

Dove sarebbero gli impedimenti o i fraintendimenti teologici, le inevitabili difficoltà esistenziali, le incongruenze inerenti gli stati di vita? Non è che si voglia sminuire il valore del clero esistente e dei religiosi del nostro tempo. Comunque vadano le cose, con o senza l’inserimento dei laici negli ordini sacri, ci saranno sempre bravi sacerdoti e sacerdoti mediocri, ma bisogna vedere cosa potrebbe conseguire, in termini di quantità e di qualità dell’impegno evangelico missionario e pastorale, da una riforma coraggiosa e necessaria di questa portata. Perché opporsi pregiudizialmente all’idea che la Chiesa potrebbe trarne sicuro giovamento? Ci sono forse dati osservativi obiettivi che dimostrino inequivocabilmente che i celibi in quanto sacerdoti possano servire il Signore meglio di come possano farlo uomini ancora laici, già sposati, con un curriculum intellettuale, spirituale e religioso facilmente accertabile? Maria, nostra madre, la vergine santa, era sposata, purissima, castissima ma sposata. Maria non era una monaca, era una laica: perché donne sposate di una certa età, e in possesso di sicura fede e di buone qualità etico-intellettive, non potrebbero essere ordinate suore? Giuseppe, che oltre che padre putativo di Gesù, è e sarà sempre da comprendere tra i suoi più degni sacerdoti, era sposato, sposato e continente per amore di Maria e di Cristo. Questi precedenti significano qualcosa o non significano nulla, possono o non possono valere come illuminanti punti di riferimento per le decisioni ecclesiali dell’oggi? E se è vero, come dice il papa, che lo spirito di carità dei cristiani dei primi secoli è stata la principale ragione dell’affermarsi storico della nostra fede, non è altrettanto vero che proprio in quei secoli molti laici fecero esemplare esercizio di carità e di dedizione a Cristo abbandonando il mondo, affetti e beni, per indossare i sacri panni dei consacrati a Dio e per testimoniare la loro fede in forme ammirevoli? Proprio papa Benedetto una volta ha parlato di Paolino da Nola, il quale era un vescovo sposato del quinto secolo. Dunque?    

 Poi, certo, non si può ignorare che da un’apertura di questo tipo la Chiesa potrebbe temere ripercussioni pericolose su altri fronti: su quello di chi reclama nuovi diritti in campo sessuale, su quello di chi non ritiene incompatibile il proprio stato sacerdotale con la decisione di sposarsi anche dopo averlo assunto da celibe, su quello delle donne che reclamano il ministero presbiterale. Su queste questioni il credente cattolico illuminato e fortificato dalla Parola e dallo Spirito di Dio deve essere assolutamente con la sua Chiesa e deve condividerne giudizi e posizioni perché obiettivamente rispettose dei sacri testi e delle sue migliori tradizioni spirituali e teologiche. Ma il timore non deve allearsi o confondersi con l’errore e con la chiusura ad un’opportunità che Cristo non ha mai negato alla sua Chiesa.

No: ostacoli non ce ne sono; non c’è niente ormai, a prescindere dagli inevitabili usi strumentali e demagogici che si fanno di tali questioni, che possa vietare alla Chiesa di accrescere le sue possibilità di rinascita o di risveglio anche ammettendo al sacerdozio laici anziani e sposati, e soprattutto buoni e preparati, che, con la loro generosità esistenziale prima che ecclesiale, potrebbero essere peraltro da stimolo e da esempio a tanti giovani incerti sulla via da intraprendere. Tra i possibili vantaggi che potrebbero derivarne, potrebbe esserci anche quello di ridimensionare il perniciosissimo fenomeno della «vanità nella Chiesa» e del carrierismo religioso: «grande è la vanità nella Chiesa. Grande!», diceva un anno or sono il cardinale Martini, che aggiungeva: «si mostra negli abiti. Un tempo i cardinali avevano sei metri di coda di seta. Ma continuamente la Chiesa si spoglia e si riveste di ornamenti inutili. Ha questa tendenza alla vanteria»,  e subito dopo stigmatizzava ancor più duramente: «Questo (il carrierismo) è un male gravissimo della Chiesa, soprattutto in quella ordinata secondo gerarchie perché ci impedisce di dire la verità. Si cerca di dire ciò che piace ai superiori, si cerca di agire secondo quello che si immagina sia il loro desiderio, facendo così un grande disservizio al Papa stesso» (“Vanità, invidia e vizi capitali anche nella Chiesa”, in “La Repubblica”, 5 giugno 2008, a cura di Zita Dazzi).

Facciamo sí che la migliore anima laica della fede entri organicamente nella Chiesa e la irrori di fresche e nuove energie spirituali. La Chiesa potrà essere sicuramente più ricca e non più povera, più tonica e non più molle; sempre dilaniata da incomprensioni e discordie, ma più capace di difendere la sua Via, la sua Verità e la sua Vita, perché più semplice e sincera nella fede, più audace nella lotta spirituale e più ardimentosa nella complessiva testimonianza di fede. Che lo Spirito Santo ispiri soprattutto il nostro carissimo pontefice e gli dia la forza di seguirne e assecondarne come sempre il soffio vitale.